Quello che segue è il manifesto del gruppo "Professional piemonte" che ho aperto su Linkedin con l'ambizione di far sentire la voce dei nuovi protagonisti dell'economia al tempo della "società liquida".
Il
neologismo
è
una parola che denota il declino.
Ogni neologismo fa riferimento ad un significato nuovo, un evento mai occorso in precedenza.
Ogni neologismo fa riferimento ad un significato nuovo, un evento mai occorso in precedenza.
Una
parola, un significante di derivazione estera, denuncia che il
fenomeno al quale ci si riferisce non appartiene a quel Paese, che
infatti deve importare anche
il modo di descriverlo.
Questa è, probabilmente, la forma atomica della dichiarazione di sconfitta di un sistema paese.
Detto
altrimenti: se una lingua deve utilizzare neologismi esteri per
definire in modo conciso situazioni nuove vuol dire che le novità
NON si stanno generando in quel Paese.
Poco importa poi se per sciovinismo si proibisce l'uso del neologismo e si impone al popolo un buffo significante domestico, come accade per l'“ordinateur”, il PC in Francia.
La sostanza resta immutata.
Temo
inoltre che presto saremo costretti ad assorbire anche neologismi di
origine cinese.
La
parola professional
è un neologismo
Recita
Wikipedia
A
professional is a person who is paid to undertake a specialized set
of tasks and to complete them for a fee. The traditional professions
were doctors, engineers, lawyers, architects and commissioned
military officers. Today, the term is applied to nurses, accountants,
educators, scientists, technology experts, social workers, artists,
librarians (information professionals) and many more.
Risulta
chiaro dalla definizione che si tratta di persone che hanno alte
professionalità e che in altri periodi erano inserite all’interno
di strutture aziendali. Oggi invece sono lavoratori autonomi, partner
di aziende maggiori.
Ma
noi professional
in Italia siamo percepiti ed accomunati ai liberi professionisti
della società borghese? Non credo. Prova empirica della mia
affermazione è che ritengo plausibile che un medico o un avvocato
vorrebbero puntualizzare se venissero definiti “professional”
anziché professionisti, e non solo per una questione di lingua.
Ho
ritenuto interessante indagare sui perché di questo strabismo
percettivo. Ho individuato almeno un aspetto soggettivo, legato alla
visione che i professional hanno di loro stessi, ed uno oggettivo,
legato alla genesi ed alle prestazioni della categoria.
A
livello soggettivo - quello dell'autorappresentazione - sebbene non
ci sia dubbio che la partnership e la creazione di reti siano una
delle direttrici dello sviluppo economico futuro, penso che nel
nostro inconscio prevalga l’aspetto traumatico della nostra genesi.
Detto
altrimenti, i professional anagraficamente più anziani spesso hanno
iniziato la loro carriera a causa dei programmi di ridimensionamento
aziendale; mentre i più giovani sono la reazione più vitale
all’incapacità del sistema economico di assorbire la nuova forza
lavoro.
Entrambe
queste origini, che soprattutto in tempi recenti sono piuttosto
scorrelate dal merito personale, non sono comunque vissute
serenamente. In una società che ha ancora il mito del posto fisso,
per taluni essere professional
diventa
lo
stigma di una colpa, di un peccato originale che - proprio come
quello biblico - ci segna, senza tuttavia averne avuto la
responsabilità.
A
livello oggettivo occorre rilevare invece che la nostra categoria è
eterogenea per formazione, competenze e risultati prodotti a favore
della clientela.
A
questa condizione di volatilità sui benefici offerti si aggiunge la
volatilità fisiologica di un ambiente lavorativo turbolento come
quello odierno. E così, poiché la generalizzazione è la via più
comoda per gestire la realtà, ecco che un insieme di concause
“locali” possa portare danni all'immagine di tutta la categoria.
Per
concludere occorre fare un riferimento più puntuale circa l'ambiente
nel quale operiamo:
da un lato scontiamo la recente formazione come categoria, e questo comporta l’assenza di organismi regolatori imposti per Legge o decisi in autonomia; ma scontiamo anche la crisi della giustizia civile ed il sistema clientelare. Tutto ciò impedisce un efficiente processo concorrenziale che molto contribuirebbe alla chiarificazione ed elevazione della nostra posizione.
da un lato scontiamo la recente formazione come categoria, e questo comporta l’assenza di organismi regolatori imposti per Legge o decisi in autonomia; ma scontiamo anche la crisi della giustizia civile ed il sistema clientelare. Tutto ciò impedisce un efficiente processo concorrenziale che molto contribuirebbe alla chiarificazione ed elevazione della nostra posizione.
Cogliere
le opportunità per fare diventare professional
una parola comune
Delineato
questo quadro occorre dunque che ci adoperiamo per capire meglio come
agire per conquistare anche in Italia la dignità che ci spetta: è
infatti difficile immaginare che al tempo della società liquida il
futuro ci porti automaticamente a quella riconoscibilità e a quel
ruolo che un tempo è stato proprio delle professioni liberali.
Tenere duro e aspettare che passi la nottata non pagherà.
Possiamo
fare un parallelo tra i BRIC ed i professional
per delineare una strategia?
Credo
di si.
a)
I professional
come i Paesi Emergenti hanno una forte crescita demografica; noi
l'abbiamo a dispetto della situazione demografica italiana, “grazie”
(tra virgolette) alla contingenza economica e legislativa.
Questa
crescita ci porta a diventare un soggetto interessante sia per le
categorie politiche sia per quelle e associative. Possiamo quindi
dire che ManagerItalia, dimostrandoci attenzione, sta facendo bene il
proprio lavoro.
b)
Il potere contrattuale dei professional,
come
quello dei Paesi Emergenti è in genere minore di quello della
controparte. Siamo cioè price
taker
sul mercato del lavoro e quindi necessariamente molto parchi nelle
richieste economiche. Questa constatazione ci può dare la volontà
di riequilibrare questi rapporti.
c)
La capacità professionale - proprio come nei Paesi Emergenti - è
molto variabile, ma soprattutto non è standardizzata. Questo vuol
dire che il matching
tra
la domanda e l'offerta è basato prevalentemente sulla conoscenza
personale, a tutto discapito della possibilità di trovare lavori al
di fuori delle proprie cerchie. Questo ancora una volta limita le
nostre opportunità e danneggia il Paese.
d)
I professional
come i Paesi Emergenti, a causa della loro posizione hanno molto da
perdere dal mantenimento dello status
quo
e pertanto sono necessariamente
rivoluzionari.
La
rivoluzione post ideologica. Cosa fare? E come?
L'età
delle ideologie è terminata con una sconfitta della rigidità
dogmatica. Credo pertanto che sia prudente adottare una posizione
“laica”.
Proverei
ad individuare - partendo dalla precedente succinta descrizione - i
punti di forza della nostra condizione con l'intento consolidarli, e
di progettare la ristrutturazione dei punti di debolezza.
Naturalmente si tratta di un embrione di progetto, aperto anche a radicali cambiamenti.
Naturalmente si tratta di un embrione di progetto, aperto anche a radicali cambiamenti.
Anche
se i fenomeni sociali ed economici sono di difficilissima
interpretazione non siamo completamente disarmati per affrontare le
sfide che ci attendono.
Dobbiamo
essere consapevoli inoltre che l'energia che tipicamente gli
innovatori profondono nei loro sforzi giocherà un ruolo molto
positivo.
I
BRIC hanno tratto vantaggio dal libero commercio, ovvero dalla
riduzione delle barriere protezionistiche; dal miglioramento del
proprio capitale umano; dal riconoscimento delle proprie capacità
produttive e dall'abbandono del loro ruolo di meri produttori di
commodities.
Mi
pare auspicabile che anche i professional
possano provare a battere una strada analoga, aggredendo le medesime
barriere...
Da
un punto di vista politico - inteso in senso ampio - non basterà
cercare interlocutori per far valere il nostro peso, che sarà
crescente in prospettiva.
Occorrerà investire su quelle forze - anche se non vincenti nel breve periodo - tanto a destra quanto a sinistra, che siano realmente interessate a cambiare in senso liberale la situazione di stasi che da troppo tempo affligge il sistema Italia.
Ai
tempi della società liquida necessariamente le esperienze e le
competenze prendono forme molto meno riconoscibili rispetto a quanto
accadeva in precedenza, quindi dal punto di vista della
certificazione delle qualità professionale occorrerà studiare,
meglio se di concerto con istituzioni universitarie, modelli che
evidenzino e delimitino puntualmente le conoscenze acquisite, in modo
che siano facilmente riconoscibili. Solo in questo modo saranno anche
facilmente spendibili.
Inoltre sarà indispensabile sollecitare la Politica (quella con la P maiuscola) affinché si creino le condizioni perché sia più semplice anche per i lavoratori autonomi accedere ad un processo di formazione continua.
Occorrerà
inoltre creare un luogo, una istituzione per usare un linguaggio caro
ai sociologi, che fluidifichi le comunicazioni tra la domanda di
professionalità di cui siamo portatori e le aziende: creare un
mercato autonomo delle competenze che sia efficace ed efficiente.
Prima
ancora però sarà indispensabile generare un meccanismo di incrocio,
un “mercato interno” delle opportunità di aggregazione, che ci
permetta di condividere i problemi e sfruttare le opportunità che
necessariamente si generano nell'affrontare insieme le sfide.
Occorre
- per perseguire questi obiettivi e tutti quelli che verranno -
creare un organismo, una istituzione flessibile, capace di
raccogliere le nostre aspirazioni, di rappresentare le nostre
necessità senza rigidità o distorsioni. Una struttura capace di
dare peso ai suoi membri senza tuttavia legarli.
Questo
strumento già esiste ed opera in svariati ambiti, fin dal Medio Evo.
Possiamo chiamarlo “rete” in prima approssimazione.
E' stato studiato da economisti e sociologi e, anche se non è di facile creazione, qualora si riesca a generarlo ci sono buone possibilità che diventi un potente strumento propulsivo per la nostra categoria e auspicabilmente per l'Italia.
E' stato studiato da economisti e sociologi e, anche se non è di facile creazione, qualora si riesca a generarlo ci sono buone possibilità che diventi un potente strumento propulsivo per la nostra categoria e auspicabilmente per l'Italia.
Però,
per evitare di concludere con una retorica decisamente datata e fuori
luogo rimarco che le sfide che ci attendono sono gravose.
La prima di queste è quella di fare massa critica, non per il gusto di essere nuovi “signori delle tessere”, ma per diffondere un progetto che tramite le nostre forze ci permetta di cambiare la nostra vita.
La prima di queste è quella di fare massa critica, non per il gusto di essere nuovi “signori delle tessere”, ma per diffondere un progetto che tramite le nostre forze ci permetta di cambiare la nostra vita.