mercoledì 28 novembre 2012

La profondità della superficialità

In questi giorni ho subito una serie di trattamenti medici. Ho quindi avuto modo di ascoltare le opinioni di alcune persone che mi sedevano accanto. 

Uno dei temi dibattuti nell'attesa di essere serviti era: "Di chi è la colpa dell'attuale situazione di dissesto economico dell'Italia?"

Le risposte erano sostanzialmente tre.  E' colpa dei comunisti; di Berlusconi; dei politici.

Sorprendentemente la risposta che appare di gran lunga la più sciatta è quella più azzeccata.


Semplificando e riducendo all'osso c'è un modo per realizzare che i partiti attuali devono essere rottamati alla velocità della luce, sperando che non sia troppo tardi.

Basta una piccola equazione

ΔD=i*D+(G-T)

dove:
- D è il valore totale del nostro debito pubblico (2000 Mld)
- ΔD è l'incremento (per es. annuale) del debito.
- ì è il tasso di interesse dei Titoli di Stato (il costo del debito)
- G sono le spese del Governo (scuole ospedali...)
- T sono le tasse. Tenete presente che le tasse sono funzione del PIL (Y) prodotto dagli italiani e dall'aliquota media applicata t. In altri termini T=(Y*t)

Possiamo riscrivere la nostra equazione così ΔD=i*D+(G-Y*t)

Allo stato attuale G-T è in pareggio (il famoso pareggio primario) cioè le nostre tasse bastano a coprire le spese correnti ma non gli interessi del debito.
In Grecia neppure quello.

Quindi tutti gli anni il nostro debito aumenta.

Per invertire la rotta è possibile lavorare su un qualsiasi termine dell'equazione.


La via più comoda è quella di tirare il "pacco" ai creditori.
Diminuire D (in modo unilaterale) o per dirla da economisti ristrutturare il debito. 


Questo però non farebbe piacere agli Stati esteri e alle banche che detengono il nostro debito. Queste ultime andrebbero in crisi di liquidità in un istante creando un cataclisma mondiale (vd qui)

Un modo adeguato sarebbe quello di pagare un i (interesse) più basso sul debito, ma se siamo indebitati al 125% del PIL non possiamo essere "choosy": dobbiamo ringraziare che ce li diano i soldi in cambio della nostra carta.

G è la spesa dello Stato. Se si riduce G si può risolvere il problema. Ma chi se la sente di tagliare? C'è il rischio di non essere rieletto.

Quindi la via da sempre praticata per restare in equilibrio è stata aumentare t, l'aliquota della tassazione. Allo stato attuale la nostra t per i contribuenti onesti è ai massimi livelli mondiali.  



Questo è avvenuto anche sotto il governo Monti.



Naturalmente poi ci sarebbe la via maestra, quella di far crescere Y, il PIL. Ma per fare questo ci vuole un sistema competitivo, dove chi merita venga premiato, dove non si viene scelti perchè amici degli amici e dove se fai danni devi andartene e dove le leggi ad personam non sono ammissibili.

Ma questo per un politico è pericoloso come tagliare G. Si finisce con lo scontentare qualche elettore.


E' inquietante rilevare che chi promette continuità con l'agenda Monti promette continuità con l'utilizzo prevalente di una sola variabile. Ma è ancora più inquietante rilevare che nessuno escluso della vecchia guardia dei politici ha mai diminuito la spesa pubblica.

Quando il rapporto debito PIL diminuiva era solo perchè il PIL aumentava, e questo non per abilità particolari dei governanti nel regolare il sistema paese ma per la congiuntura internazionale.


La signora Gina ha dunque centrato il problema. Ora si tratta di convincerla a votare per qualcuno che non siano i soliti noti o Grillo.









Il diavolo nei dettagli. I conti di deposito


La stanchezza psicologica ed i timori sul futuro portano talvolta l'investitore alla ricerca di soluzioni che siano anche mentalmente poco faticose.

Per molti un'offerta facile da capire oggi vale di più del rendimento e d
opo anni di tempesta una soluzione che offra tranquillità diventa appetibile "a priori"

In questo contesto le banche hanno buon gioco ad offrire i propri conti di deposito, facili da capire e tranquilli, anche perchè fino a 100 mila euro c'è una garanzia aggiuntiva prestata dal Fondo interbancario di tutela dei depositi. Questa li rende praticamente assimilabili al debito dello Stato.

Per esplorare questa realtà mi sono messo nei panni di un cliente "sveglio" ed ho googlato "conti di deposito" per capire quali fossero le condizioni di mercato.

Così sono arrivato al sito www.confrontaconti.it

La promessa è chiara: mi aiuterà a trovare le migliori offerte.




Immetto l'importo che desidero investire e l'arco temporale: 10 mila euro; 6 mesi.
Il motore di ricerca m
i offre questi risultati.





Interessante... Privatbank offre il 3.61% netto a 6 mesi, e si apre il conto on line.

Non conosco la banca. Vado a vedere sul sito della Banca d'Italia. E una banca comunitaria autorizzata dal 2008 ad operare.

Nonostante le evidenze positive decido di approfondire le ricerche.

Vado sul sito del Fondo interbancario di garanzia www.fitd.it e... scopro che la banca non è aderente. Questo mi crea un momento di sbandamento. La normativa operante dunque è quella lettone. 

Nulla di male, non sono situazioni illegali, basta saperlo, magari PRIMA, per pesare l'offerta e capire che in caso di problemi avrò a che fare con il fondo lettone di Garanzia piuttosto che quello italiano.

Dopo un po' di ricerche trovo il sito ufficiale del Fondo di Garanzia Lettone e verifico che dalla fine del 2010 anche la Lettonia garantisce 100mila euro per depositante. Prima non era così.

Vado sul sito di Moody e scopro che il rating della banca è "speculative grade". Ma anche questo in fondo non conta troppo, c'è la garanzia dello Stato lettone sui primi 100 mila euro depositati. Tuttavia il giudizio di Moody's - letto in controluce, sulle motivazioni - mi pare un po' inquietante.

Seguono offerte di altre banche, i cui tassi calano piuttosto rapidamente, direi proporzionalmente alla notorietà della banca. 

Chi si rivolge alla banca sotto casa ha la quasi certezza di essere impallinato. Fineco, ottima per molti altri aspetti, offre il 2% lordo per 6 mesi.

Occorre inoltre stare attenti al fatto che i tassi offerti possono essere temporanei. Al rinnovo quindi le condizioni potrebbero essere anche molto differenti.


Questa breve avventura permette qualche considerazione.

Il tema di moda oggi è la tranquillità. Ho affrontato molte volte il tema dell'investimento effettuato sotto la spinta delle mode qui ma anche sulla mia dispensa che vi invito calorosamente a leggere.

L'uso di un conto di deposito ha un senso (economico) se

- per quel periodo temporale i titoli di Stato rendono di meno del tasso offerto dal conto;
- si dispone di patrimoni fino a 100 mila euro. Dopo tale importo la garanzia del Fondo non è operante e quindi i rischi derivanti dal maggior rendimento dell'investimento ricadono sulle spalle del cliente.
- Il risparmiatore è un nomade pronto a migrare di offerta in offerta, altrimenti il rischio è che una volta entrato in una certa banca non ne esca più, con evidenti vantaggi per l'Istituto, ma non per lui.

E' importante infine capire se la Banca aderisce al fondo nazionale di tutela dei depositi. Diversamente la legislazione vigente sarà quella del paese di origine.
 

Attenzione anche a bonificare il denaro su una banca estera. La normativa italiana prevede da poco tempo che si debbano dichiarare anche i flussi intra annuali di capitale da e per l'estero, non solo i depositi. Mi spiego meglio. Se ho un conto all'estero devo denunciare il saldo del conto sul quadro RW. Ma dal 2012 devo segnalare anche una serie di flussi il cui saldo a fine anno sia pari a 0. 

Insomma è un lavoro...

Per la parte eccedente i 100 mila euro il rapporto rischio rendimento dei conti di deposito cambia: diventa allora possibile e conveniente ricercare valore direttamente sul mercato componendo portafogli di obbligazioni già quotate. Per dare un'idea: i rendimenti offerti dai migliori conti di deposito sono poco di più della metà del rendimento ottenuto quest'anno dalla nostra gestione obbligazionaria...

sabato 24 novembre 2012

Le organizzazioni a rete

Questo post riparte da dove ci eravamo lasciati la volta scorsa.
Perchè una organizzazione cambia nel tempo?
 

Quali sono le reazioni delle imprese ai tempi della società liquida?


I tempi sono cambiati

Tra i valori che la società postindustriale ha iniziato a considerare con maggiore attenzione troviamo l'individualismo e la ricerca della personalizzazione.

La conseguenze a livello industriale furono la demassificazione del mercato e la variabilità dei gusti, che collidevano con una organizzazione rigida e con la programmazione pluriennale.

Le organizzazioni industriali sia per esigenze di mercato sia per problemi ambientali, ricordiamo che gli anni 70 furono anche gli anni degli shock energetici, avevano bisogno di reagire agli stimoli con rapidità.

Questa situazione ha quindi spinto le imprese a cercare nuovi modi di competere ed organizzarsi e localizzarsi laddove si trovino le risorse migliori e le mentalità più adeguate per operare.

In fondo il neologismo “glocal”, fa riferimento alla necessità di pensare e rapportarsi alle richieste dell'ambiente seguendo i valori della comunità locale, usando le economie di scala che può offrire una divisione del lavoro strutturata a livello internazionale.


Le organizzazioni a rete

La rete è una forma organizzativa particolare dove il rapporto tra i nodi (i componenti) non è mai unidirezionale e i nodi non sono omogenei, ovvero non si tratta solo di aziende ma ci sono anche altre organizzazioni.

Una rete non genera solo un rapporto cliente - fornitore. C'è un flusso bidirezionale tra i nodi dove, oltre allo scambio di merci se ne verificano altri ugualmente importanti, in entrambe le direzioni. Flussi culturali, formativi, informativi. E più ci si allontana dal flusso bidirezionale e più ci si allontana dalla rete.

Oltre che dalla disomogeneità strutturale la rete è caratterizzata anche da un rapporto di moderazione nello sfruttamento del proprio potere di mercato. I nodi sono consapevoli dell'esistenza di valori comuni, di modi di operare condivisi e di sostanziale compatibilità tra gli obiettivi individuali. Si cerca cioè un tipo di rapporto “win to win”.

Così a differenza di quanto avviene nei rapporti tradizionali di mercato c'è molta elasticità nel trattare. E' come nei matrimoni. Non si guarda alla singola transazione, ma all'insieme del rapporto.
Questo atteggiamento quindi permette di superare eventuali situazioni critiche senza eccessive lacerazioni del tessuto organizzativo e permette di costruire un rapporto che va ben oltre a quello puramente mercantilistico.
Sia chiaro, la descrizione che offro non è idealizzata: tra le imprese costituenti la rete c'è collaborazione ma anche competizione. Ognuno opera per il raggiungimento del proprio obiettivo e la fiducia non è offerta in modo immediato e incondizionato.

Queste condizioni tuttavia non creano problemi di funzionamento, anzi sono elementi di stabilità del sistema, perchè il controllo reciproco sulla base di valori condivisi rende ciascun attore consapevole che potrà fare poca strada deviando dalle regole comuni, e l'espulsione dal sistema è un deterrente molto efficace.

La rete genera un rapporto di “fiducia armata” in base al quale il fornitore riesce a diventare una parte dell'azienda committente pur restando nei fatti una entità terza.

La questione molto interessante è che la rete, a causa della struttura coordinata non strettamente verticistica può rispondere con rapidità, efficacia ed innovazione agli stimoli dell'ambiente.

La rete apprendere rapidamente e reagisce con capacità impensabili per le aziende tradizionali.

Ben lo sanno gli americani che stanno cercando da anni di smantellare Al Qaeda, una organizzazione rete che proprio per questo è difficilmente gestibile con i mezzi tradizionali di contrasto.

La dottrina sociologica è oggi concorde nel considerare che
  • i legami forti formalizzano e irrigidiscono. Tendono quindi ad essere un danno piuttosto che una risorsa, all'opposto dei legami deboli, che fluidificano e risolvono.
  • Per costituire una rete non occorre essere motivati da fini altruistici: sono i fini individualistici quelli che fanno funzionare la rete. Ci si mette insieme per “fare massa” per produrre quei beni /servizi che fanno comodo a tutti e che in genere sono costituiti tanto da oggetti quanto da relazioni, ma sempre affinchè ciascuno possa ottenere i propri obiettivi.
  • La competenza professionale è un requisito essenziale ma non sufficiente affinchè la rete non fallisca.
  • La fiducia non è un prerequisito per il funzionamento del meccanismo di rete, anzi in genere questa compare in seguito alla collaborazione e la sanzione per la sua revoca può comportare l'espulsione dell'attore dalla rete.
  • Occorre la volontà di fare rete e occorre anche un organo di controllo e disciplina, che potremmo definire di governance piuttosto che di governo.

Mi pare che a fronte di queste considerazioni diventi evidente che riuscire a creare una rete è un obiettivo che potrebbe potenzialmente interessare ciascuno di noi.

Per creare una rete, prima ancora di partire con il tentativo di ramificare le proprie conoscenze in modo compulsivo è necessario però riflettere su
  • quali problemi vogliamo risolvere creando una rete;
  • quali problemi siamo in grado di risolvere agli altri;
  • quali siano i valori condivisi e quali siano le regole di comportamento attese;
  • come creare un organo di governance;
  • come abbandonare la mentalità della ricerca del legame forte, dell'unitarismo, che sarà forse rassicurante ma che di certo non è più adeguato ai tempi. 


      

sabato 17 novembre 2012

Dal fordismo al glocalismo



L'evoluzione delle organizzazioni industriali negli ultimi 100 anni

Comprimere un argomento così vasto in una paginetta è un'operazione degna di Jack lo squartatore.

La ragione per la quale mi accingo a fare salsicce di una branca importante della sociologia è che che mi serve una base minimale per il post della prossima settimana nel quale vorrei fare alcune considerazioni telegrafiche sull'importanza delle reti.


L'organizzazione del lavoro è sempre stata praticata.
Nella preistoria gli uomini cacciavano (e si dividevano tra battitori e cacciatori) mentre le donne raccoglievano i frutti della terra e badavano alla prole.

In seguito la situazione si è complicata, ma resta comunque il fatto che le risposte ai problemi di organizzazione hanno almeno due ordini di vincoli: l'ambiente materiale e i valori dei membri della società che la costituiscono.

Per i dirigenti di ieri e di oggi la sfida è quindi sempre stata duplice: rispettare i vincoli materiali ma anche quelli valoriali.


Perchè una organizzazione cambia?
Per rispondere ad una delle variazioni citate.

Un esempio chiarirà il concetto. Se “prima” il lavoro femminile in un certo settore non era ammesso e “dopo” è stato accettato, evidentemente molte organizzazioni potranno decidere se rivedere il proprio modus operandi.

Analogamente per quello che concerne le innovazioni tecnologiche.


Quali sono i rapporti tra l'ambiente e l'organizzazione?

Ovviamente di “scambio”. Ma il punto di non ritorno è avvenuto con la rivoluzione industriale.
Prima – con l'eccezione degli schiavi - ogni lavoratore, anche il più umile, era in fondo un professionista. Veniva pagato per la prestazione e poteva concordare i tempi di consegna.

In seguito invece l'impreditore industriale è diventato padrone del tempo dell'operaio, separandolo da quel rapporto diretto con il frutto del proprio lavoro e assimilandolo in un certo senso allo schiavo.

Questa nuova impostazione produttiva ha comportato una serie di problemi, alcuni dei quali sono ancora oggi irrisolti.

Il picco nella razionalizzazione del processo produttivo intorno alle esigenze della produzione fu realizzato ai primi del Novecento, con l'organizzazione industriale fordista e la creazione della prima catena di montaggio.

In quell'epoca inoltre la carenza di manufatti poneva il produttore in vantaggio rispetto al consumatore.

E' celebre la frase di H. Ford “I nostri clienti possono scegliere la macchina del colore che vogliono, purchè nera”

Gli stimoli che dal mercato ricadevano sull'impresa erano relativamente poco influenti: da un lato si possedeva tutta la filiera produttiva per controllare gli imput che contavano, dall'altra ci si poteva permettere di riversare il prodotto sulle masse, che avevano scelta solo nel decidere se consumare o meno.

In breve tempo però la situazione iniziò a cambiare: le imprese dovettero diventare molto più attente a cosa producessero. L'ambiente non poteva più essere dominato, doveva invece essere cavalcato.

La risposta organizzativa a questa nuova situazione fu una diminuzione dell'altezza della piramide gerarchica. Per es. con la creazione di aziende divisionalizzate, che permettevano ancora un controllo verticistico, ma anche una maggiore vicinanza al mercato.

Le caratteristiche importanti - ai fini del nostro discorso - di questo tipo di struttura industriale erano sia l'idea che esistesse un solo modo “giusto” di fare le cose, sia lo sfruttamento pieno del proprio potere contrattuale.

Con la fine degli anni 70 del secolo scorso nei paesi industrializzati si è giunti al termine di questo percorso.
In quel periodo in Italia si è manifestata appieno la crisi del modello industriale classico ed hanno iniziato a crescere i distretti industriali, costituiti da organizzazioni a rete, che saranno oggetto nel prossimo post.


lunedì 12 novembre 2012

Quasi un anno dopo...


In questi giorni, un anno addietro, il governo del "miglior premier degli ultimi 150" anni si levava di torno.

La situazione non è peggiorata e quindi siamo molto contenti di non essere morti, come sarebbe facilmente capitato altrimenti. 


Però non è migliorata.

Da un lato l'inerzia dei vecchi politici, che sono la nostra zavorra, e dall'altro il Governo Monti sta fallendo i suoi obiettivi migliori, quelli di sgrullare l'Italia.

Su Radio 24, oggi (12/11), Mario Seminerio nella trasmissione di Oscar Giannino "nove in punto" parla del suo recente libro. Consiglio di scaricare il podcast della trasmissione odierna non appena disponibile.

Quello che sostiene Seminerio è arcinoto, ma politicamente scomodo.

Sia chiaro che non sono degno di sciogliere i legacci dei sandali di Seminerio ma l'avevo scritto pure io in modo molto sintetico a gennaio di quest'anno che i nostri problemi sono quelli che descrive nel libro.

E se avete un po' di tempo rileggete anche i post di dicembre.

sabato 10 novembre 2012

Un ringraziamento sentito

Al signore che mi ha lasciato questo commento

"Sono arrivato al suo blog cercando con Google "IT0004854870"; a differenza del cliente da lei citato io non sono facoltoso; il consulente Unicredit mi ha proposto l'obbligazione in questione consegnandomi anche una scheda prodotto sintetica. Ho "ravanato" un poco in internet trovando la scheda completa contenente fra l'altro il valore della componente obbligazionaria e ho maturato la convinzione che, qualora decidessi di accettare il rischio emittente, mi sarebbe comunque valsa la pena di attenderne la quotazione sul mercato. Mi ha fatto piacere trovare la sua opinione sostanzialmente concorde con la mia intuizione"


http://epsilon-intervallo-grande.blogspot.it/2012/02/una-cortesia-che-chiedo-ai-miei-lettori.html

Sono queste le soddisfazioni che mi spingono a scrivere: un po' di sana interazione intellettuale.

E a questo proposito segnalo l'attività di una persona che non conosco (purtroppo) ma che ha un blog molto raffinato. Mi aveva colpito in maggio, ma la crisi greca mi ha fatto dimenticare si segnalarla prima.
http://opaquedictator.wordpress.com/

Chapeau a tutti e due!

mercoledì 7 novembre 2012

Programma di “conferenze private” per beneficenza




E' il responsabile di una Associazione?
E' il riferimento di un gruppo di amici?
Ha / avete a cuore una causa benefica particolare?
Ha rilevato che tra i suoi associati / amici c'è un certo interesse verso le tematiche della finanza personale e degli investimenti finanziari?

I suoi amici si tasserebbero per ascoltare una conferenza tenuta da un addetto ai lavori con esperienza trentennale, se avessero la garanzia che l'evento non si trasformerà in uno spot pubblicitario, ma invece offrirà loro valore aggiunto?

Può darsi che io sia la persona adatta per aiutarvi a raccogliere i fondi che state cercando.

Valuto inviti in Torino e provincia per tenere - a titolo completamente gratuito e senza rimborsi spese – conferenze di carattere finanziario, con un linguaggio accessibile e non tecnico, rivolto tuttavia ad un pubblico di buon livello culturale.

La invito a visitare il mio blog per valutare il mio stile di comunicazione ed il tenore dei miei interventi. Qualora ritenesse di voler approfondire mi contatti. Valuteremo insieme le mie competenze sull'argomento richiesto; acquisirò notizie circa il progetto benefico cui destinerete i contributi; stabiliremo la data della conferenza e i dettagli.


lunedì 5 novembre 2012

Legalizzare la corruzione

Secondo il procuratore generale della Corte dei Conti la corruzione nella Pubblica Amministrazione costa agli italiani 50 60 miliardi all'anno (dati 2010).


Una decina di manovre finanziarie.

E mentre ci si arrabatta per tappare i buchi con nuove entrate, la lotta alla corruzione non brilla.

Limare del 10% la corruzione significa evitare una manovra finanziaria sulla schiena dei soliti noti, o un altro "scudo fiscale".


Propongo allora una legge molto semplice.


Da oggi sia depenalizzato pagare tangenti, ma ovviamente sia ancora penalmente rilevante riceverle.

Poichè il reato di corruzione prevede che sia il corrotto che il corruttore abbiano problemi giudiziari, se individuati, questo legame rende conveniente il silenzio di entrambi. Ma se solamente il corrotto avesse problemi?

Se, per esempio, un cittadino si sentisse chiedere una tangente e se dopo aver ceduto alla richiesta avesse facoltà di denunciare l'impiegato infedele, a costo zero con la possibilità di recuperare i suoi soldi?

Quanti amministratori infedeli dormirebbero preoccupati?
Almeno un 10% del totale? O di più?