giovedì 27 novembre 2008

Valutare i consigli osservando lo stile del consigliere (Prima parte)



“Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io”.
Possiamo rendere moderno questo proverbio e applicarlo alla consulenza finanziaria?
Esiste cioè un modo per cercare di valutare un consiglio, sia che provenga da un consulente che da un amico?

La mia risposta è debolmente positiva. Affermo cioè che sia possibile, prestando molta attenzione, analizzare lo stile di un consigliere e prevedere quale tipo di cattivo consiglio potrebbe offrire.

Occorre anzitutto costruire una mappa degli stili di comportamento del consigliere.


Creiamo quindi un piano (cartesiano) dove la linea orizzontale sarà definita “dell’intelligenza logica” mentre quella verticale sarà la linea “dell’intelligenza empatica” (cfr. figura in fondo al post).

Nella semiretta orizzontale di sinistra staranno le persone con minore capacità logica mentre a destra si troveranno quelle con maggiori doti in quel campo.


Nella semiretta inferiore staranno le persone poco empatiche ed in quella superiore le persone più fornite di questa qualità.

Definiamo “l’intelligenza logica” come la capacità di maneggiare agevolmente concetti astratti e “l’intelligenza emotiva” come la capacità di rapportarsi agevolmente con gli altri, cioè la capacità di stare bene e di far star bene.

In questo modo avremo diviso il foglio in quattro quadranti che sono corrispondenti a 4 modalità che si rifletteranno poi 4 in stili di vendita.
Descriviamole brevemente.

I logici empatici ovvero quelle persone che dispongono sia di intelligenza che di capacità di entrare in sintonia col prossimo (un santo scienziato, esagerando)

I logici non empatici invece non riusciranno ad entrare bene in sintonia col prossimo (uno scienziato “normale”, come spesso ci fa piacere rappresentarlo)

I non logici empatici sono le persone semplici che però ti fanno star bene e che stanno bene loro stessi (una “fata ignorante”, forse direbbe Ozpetek).

I non logici non empatici, sono i classici “Fantozzi”, per ricorrere ancora ai film.



Dopo aver calato brutalmente il lettore in questo universo bidimensionale lo invito a familiarizzare con questi concetti, perchè tra una settimana caleremo la fattispecie astratta nella fattispecie concreta.

giovedì 20 novembre 2008

Domande minimali da porsi prima di fare trading



Il trading può essere visto come una scommessa sulla direzione (trend) di un titolo. Questo set di domande può essere usato per provare a migliorare le proprie abilità.


Strategia di ingresso

Quando operare?
Quando si crede di capire la situazione in atto. Si delinea cioè una ipotesi sul trend di un titolo e la si verifica, nel tempo, “scommettendoci” sopra. Consiglio sempre di scrivere la propria ipotesi per avere occasione di rivederla senza doversi basare sui ricordi. Occorre ricordarsi sempre che non c’è nessun male nel rivedere le proprie idee, specie se in tempo per evitare o limitare danni.

In che direzione entrare?
Esistono due strategie direzionali semplici: il rialzo ed il ribasso. Se si prevede il rialzo del prezzo del titolo occorre comperare. Se si prevede il ribasso occorrerebbe vendere. Ma il discorso qui si complica un poco. Basterà sapere che per approfittare di un ribasso si può comperare ad esempio un prodotto detto “short”.

Occorre quindi individuare una “tendenza operativa” e operare di conseguenza.

Come entrare? Quando prendere posizione?
Si prende posizione in base alla propria aggressività. Più si è aggressivi e meno si divide il capitale. Più si è aggressivi e più l’orizzonte temporale scelto è breve.
E’ consigliabile dividere il capitale in almeno 3 - 5 parti e prendere decisioni separatamente per ciascuna tranche. Questa tecnica aiuta nei momenti avversi poiché agevola l’azione eseguita contro le proprie convinzioni. Operare in modo binario invece eleva il rischio di paralisi.

Esempio
Si descrivono l’ipotesi e la sua negazione, cioè si individuano livelli o situazioni che, se raggiunti, impongono azioni precise.
Credo che sia in atto un movimento rialzista da 5 a 6 sull’azione X.
Oggi il prezzo è 5.10
Se il prezzo scenderà sotto 4.8 l’ipotesi sarà negata ed io dovrò essere completamente liquido. A 6 dovrò prendere profitto e sulla debolezza tra 5 e 6 rafforzare la posizione.
Entro subito col 25% (a 5.10). Comprerò con un altro 25% al momento di una conferma, che attendo al superamento di quota 5.35 e con un altro 25% al superamento di quota 5.5.
Se il mercato rinculasse senza negare l’ipotesi rialzista utilizzerò il restante 25%



Strategie di uscita


Quando uscire; quanto uscire
Arrivati alla meta indicata dall’ipotesi il grosso va tolto. Una restante parte può essere gestita per cercare di ottenere un’ulteriore plusvalenza, ma senza esagerare.



Caveat

Fare una gita al mare d’estate è meglio: in genere il tempo è bello e solo se si è sfortunati ci si bagna; d’inverno solo se si è prudenti e fortunati si prende un po’ di sole.
Fuor di metafora: attenzione alle condizioni generali del mercato, poiché influiscono sulle condizioni operative di più breve periodo. Quindi, ammettendo che sia stata identificata una tendenza “operativa” e che la si voglia sfruttare, occorre considerare che, se è avversa alla tendenza generale, avrà movimenti più deboli e di conseguenza sarà più prudente avere minori aspettative in termini di obiettivi. Inoltre se si osserva che, in un certo periodo, gli obiettivi ipotizzati vengono superati costantemente si può ipotizzare che il movimento di fondo del mercato stia cambiando direzione.

Occorre tenere un diario del trading e delle decisioni prese per poter rivedere a freddo i comportamenti tenuti.

giovedì 13 novembre 2008

Le decisioni per gestire un portafoglio


Vi sono molti metodi utilizzabili per governare le scelte di investimento e il lancio di una moneta, nel breve periodo, potrebbe persino risultare il migliore. Tuttavia tra gli addetti ai lavori è prassi consolidata che il processo decisionale sia supportato dall’analisi fondamentale e da quella tecnica.

Oggi quindi propongo un breve tour su queste discipline.

Cos’è l’analisi fondamentale? E’ un processo che ha come obiettivo la determinazione (la stima) del rendimento ottenibile dall’acquisto di un certo titolo.

Per le obbligazioni è facile capire che esiste un rendimento, poiché la cedola periodica costituisce (almeno in prima approssimazione) il rendimento dell’investimento.

E’ meno intuitivo ma ugualmente corretto affermare che, anche acquistando una azione si ottiene un rendimento, dato sia dai dividendi sia dall’eventuale guadagno in conto capitale.

Poiché le azioni sono - nel breve termine - più volatili delle obbligazioni un soggetto razionale vuole che l’investimento azionario renda di più di quello obbligazionario. Vuole cioè che gli venga riconosciuto un “premio per il rischio”: questo storicamente vale circa il 3% ma può rapidamente salire in caso di crisi.

Per costruire un portafoglio “statico” un analista fondamentale deve esaminare un gruppo di strumenti finanziari e comprare i titoli che presentano i rendimenti futuri più attraenti (entro certi limiti).

Occorre notare che l’indicazione di acquisto così emessa non implica che il prezzo dello strumento abbia toccato il minimo. L’acquisto indica solo che ci si vuole accaparrare un rendimento che viene considerato “adeguato”.
Potranno esserci occasioni di acquisto migliori, ma questa analisi non è in grado di prevederlo.

E l’analisi tecnica?

E’ una disciplina empirica che studia, mediante grafici, i movimenti dei prezzi degli strumenti finanziari, indipendentemente dalle ragioni per cui avvengono. L’obiettivo è il riconoscimento di quelle morfologie che, secondo l’esperienza, sono premonitrici di un certo comportamento futuro.

E’ ovvio che se si è confidenti che i prezzi - nel periodo successivo - avranno un andamento determinato sarà possibile implementare strategie di investimento profittevoli.

Con l’avvento dell’informatica si sta assistendo ad una evoluzione dell’analisi tecnica verso forme di analisi computerizzata: i trading system. E’ interessante notare che le regole dell’analisi tecnica, una volta formalizzate all’interno dei sistemi computerizzati, tendano a dare risultati più modesti rispetto alle attese. Talvolta non è addirittura possibile definire in modo rigido le regole che sono applicate in modo “artistico” dall’analista: l’avvento dei computer sta imponendo il superamento della “fase sentimentale” a favore di una rifondazione su basi più rigorose.

venerdì 7 novembre 2008

Guida alla scelta di un consulente: l'indipendenza


Ecco il primo di una serie di post dedicata a chi, pur non sapendo alcunchè di finanza, vuole provare a scegliersi un consulente piuttosto che attendere che accada il contrario.


E' curioso constatare che se un amico dispensa consigli interessati viene esposto al pubblico ludibrio, mentre - almeno fino ad un recentissimo passato – certi consigli interessati erano piuttosto reputati. Mi riferisco a quelli del famoso "amico in banca", quello anche evocato per rendere più plausibile il diniego opposto ad una offerta di servizi di investimento proveniente da altre realtà.

Dopo la constatazione più o meno traumatica che l'amico in banca era in realtà "amico del giaguaro" credo che ci sia l’opportunità per riflettere sulle qualità desiderabili di un consulente finanziario.

Oggi vorrei esaminare l’importanza dell’indipendenza.

L'industria finanziaria è suddivisa in due grandi ambiti: i produttori di investimenti e i venditori al pubblico (che chiameremo d'ora in poi collocatori).
La separazione tra le due categorie, alquanto fievole in passato, si sta sempre più accentuando.

Però, come diceva Galbraith, "nella finanza c'è poco da inventare" e proprio per questo i prodotti di investimento tendono ad assomigliarsi sempre più: è cioè difficile riscontrare significative differenze tra prodotti concorrenti della stessa classe.

Per le industrie produttrici diventa quindi cruciale trovare un modo per farsi preferire, prima ancora che dal cliente, dal collocatore.

Un modo assai comune per distinguersi è cedere al distributore una parte delle commissioni ottenute dal cliente finale. Così, il collocatore una volta ravvisata la necessità o disponibilità del cliente finale ad investire in un determinato ambito, gli consiglierà il prodotto maggiormente conveniente… per lui.

Questa pratica introduce - nel processo decisionale - un elemento terzo rispetto all'interesse del cliente.

Tutti ricordiamo che - fino a poco tempo fa - ogni grande banca collocava solo i propri prodotti: il conflitto di interesse era palese. Ma anche ampliando la scelta tra una selezione di produttori (proposti sempre dal collocatore) la situazione non migliora, proprio perché il meccanismo resta sostanzialmente intatto.

Occorre infine sapere che la normativa consente al cliente di ottenere informazioni sulle retrocessioni offerte al collocatore da parte dei produttori di investimento: basta chiedere.