giovedì 30 aprile 2009

La crisi, le banche ed i titoli tossici - 2

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
Ecco la continuazione del post della settimana precedente. Buona lettura.


I primi crolli

Un anno fà la situazione era così grave che la banca inglese Northern Rock venne nazionalizzata nel corso di un fine settimana per evitare che il suo fallimento creasse uno shock sistemico, ovvero che le banche la smettessero definitivamente di prestarsi denaro e così facendo crollassero una ad una.

Seguirono altre crisi bancarie e gli interventi pubblici furono sempre più aggressivi: se fino a poco prima gli interventi delle Banche Centrali erano “limitati” a poderosissime iniezioni di liquidità nel sistema interbancario, dal marzo 2008 l’"intervento" divenne la nazionalizzazione di fatto delle banche in odore di fallimento: ovvero venne (giustamente) usato denaro pubblico per coprire i buchi di bilancio.

Dalla primavera fino all’estate del 2008 TUTTE le banche (e le assicurazioni) in difficoltà vennero aiutate con poderose iniezioni di liquidità provenienti dai bilanci pubblici.

Il sistema creditizio mondiale non tracollava (ovvero le banche si prestavano ancora denaro e lo davano alle industrie) grazie al fatto che si era appreso - dai passati comportamenti dei Governi - che le banche non sarebbero state abbandonate a loro stesse.



Il crollo

A settembre, nel pieno della campagna elettorale presidenziale americana, forse nel tentativo di scrollarsi di dosso l’etichetta di “amici dei banchieri”, l’amministrazione Bush lasciò fallire la Leheman Brothers.

In effetti la celebre banca avendo “solo” 20 mld di squilibrio tra passivi ed attivi poteva forse dare uno shock limitato al sistema e cavare le castagne dal fuoco ai repubblicani. Ma l’impatto fu devastante poiché il messaggio sottostante era in controtendenza rispetto a quelli precedenti.

Ogni banca capì che poteva fallire poiché tutte erano in squilibrio tra investimenti e fidi.


Per ritrovare un nuovo equilibrio strutturale senza l’aiuto del governo, si iniziò da un lato a vendere qualunque titolo potesse essere realizzato e dall’altro a chiedere ai clienti il rientro dagli affidamenti.

Solo dopo un mese di vendite “a qualunque prezzo” su qualunque valore trattato e grazie agli interventi della Politica che dichiararono di nuovo che nessuna altra banca sarebbe fallita, l’ondata di panico cessò.

Occorre notare che i valori più sacrificati in quel momento furono i titoli azionari, paradossalmente.

La crisi del mercato azionario è stata la conseguenza della crisi del mercato della liquidità: i mutui subprime - che avrebbero dovuto essere la prima linea di difesa da vendere - erano totalmente illiquidi. Non a caso i programmi governativi di salvataggio prevedono l’acquisto dei bond tossici delle banche.

I valori azionari, grazie ad un mercato efficiente, si trovarono nella scomoda situazione di dover creare liquidità a breve termine anziché allocare risorse per il sistema produttivo nel lungo periodo.


Le ripercussioni sull’economia reale

Ovviamente la “richiesta” alle industrie di rientrare dai fidi, la diminuita offerta di credito al consumo e l’effetto psicologico di povertà creato dal tracollo dei portafogli titoli delle famiglie ha comportato una contrazione della domanda e quindi delle attività reali.


Peraltro questo fenomeno era già in atto da tempo ed è stato pesantemente accentuato.


Le prospettive, i giudizi

È difficile passare a questo paragrafo senza iniziare a parlare di filosofia ed etica più che di economia. Mi riprometto di tornare su questo argomento. Per adesso rimando solo al mio post del 26 settembre 2008.




giovedì 23 aprile 2009

La crisi, le banche ed i titoli tossici - 1

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

Propongo un breve excursus in due parti sulla crisi economica che ci affligge. Prego i lettori più tecnici di essere clementi nel giudicare la descrizione che seguirà.

Oggi descriveremo come si è arrivati a questa situazione, la settimana entrante vedremo la dinamica della crisi.



La genesi dei titoli tossici

Negli Stati Uniti il mercato degli immobili è sempre salito, storicamente. Pertanto una delle attività più comuni delle banche era la concessione di mutui ulteriori, rispetto a quello iniziale, servito per acquistare l’immobile.

L’americano medio usava il credito per accrescere la propria capacità di spesa e le banche erano tranquille poiché il prestito era garantito dal valore in ascesa dell’immobile.

Gli immigrati una volta ottenuto il permesso di soggiorno ed un lavoro ambivano a comperarsi casa, ma non sempre le banche erano solerti a concedere credito ai nuovi arrivati.

Alcuni banchieri si accorsero però che i newcamers erano disponibili a pagare tassi maggiori rispetto ai residenti di vecchia data e così - per un certo periodo - alcune banche si specializzarono a trattare coi nuovi americani, e riuscivano a guadagnare sempre: se il debito non era onorato la casa veniva escussa e rivenduta con profitto.

In seguito questi istituti iniziarono a cartolarizzare i mutui anziché detenerli in portafoglio.
Si crearono cioè titoli di credito rappresentativi dei mutui dei clienti meno affidabili (subprime).

Questi vennero poi venduti ad altre banche desiderose di investire in qualcosa di “solido” e di redditizio.

Che quei titoli fossero solidi lo decretavano sia le agenzie di rating, che assegnavano una elevata affidabilità ai titoli, sia la “logica” stessa, poiché il credito riposava sugli immobili americani che erano sempre saliti (cfr. con il mio post “Agnelli e cigni”).



Come funzionano le banche

Le banche prestano denaro. Non solo, in un certo senso lo producono. Sono cioè autorizzate a prestare sotto forma di fidi gli stessi 100 euro dalle 20 alle 50 volte in base ai Paesi.

Cioè se deposito 100 euro, la banca può dare fidi alle aziende fino a 2000 – 5000 euro.

Per evitare di chiedere alle aziende un rientro dal fido, qualora mi presentassi a ritirare una parte del mio deposito, le banche devono avere anche una certa quantità di denaro investito in titoli prontamente liquidabili. In genere si tratta di BOT che possono essere venduti immediatamente e senza perdite.

Poiché la banca lucra un tasso sul denaro prestato ha tutto l’interesse ad ampliare la quantità di fidi che eroga (la c.d. leva finanziaria), ma le Autorità di Vigilanza hanno il dovere di controllare che questa non si espanda troppo, altrimenti in caso di eccessive insolvenze sui fidi la banca rischia di bruciare i soldi in deposito.

Pertanto il rapporto tra i depositi (e gli investimenti) da una parte e i fidi dall’altra deve restare entro certi limiti, altrimenti la banca viene dichiarata fallita.



L’avidità

Un giorno ci si accorse che, per il regolamento bancario era praticamente uguale se si investiva nei titoli dei mutui subprime anziché in BOT.

Poiché a parità di ogni altra condizione (cioè a parità di velocità di vendita senza perdite) la redditività della banca aumentava investendo in titoli dei mutui subprime, grazie agli interessi maggiori che producevano, si iniziò a preferire questi ultimi ai BOT.

Non solo, ma da sempre le banche, quando chiudono la sera, prestano di notte il proprio denaro ad una banca su un altro continente affinché lo possa usare (e il prezzo è il famoso tasso overnight).




I primi scricchiolii

Quando il mercato americano degli immobili iniziò a non salire più e la crisi economica iniziò a creare problemi di pagamento anche nei mutui subprime, i dirigenti bancari iniziarono ad avvertire un certo disagio, poiché iniziarono a sospettare che i titoli sui mutui subprime fossero a rischio, ovvero che le riserve di liquidità che le banche devono detenere per controbilanciare i fidi non fosse così adeguata come sperato.

Detto altrimenti, i dirigenti temevano che se avessero dovuto vendere in fretta i titoli di scorta per ridare i soldi a chi veniva a chiedere indietro i propri depositi, non avrebbero recuperato la cifra necessaria per fronteggiare la richiesta.

Concretamente le banche avevano due preoccupazioni: da un lato se avessero avuto bisogno di vendere rapidamente i titoli avrebbero avuto difficoltà a realizzare il prezzo desiderato. Dall’altro lato prestandosi reciprocamente il denaro overnight, correvano il rischio che - se la banca corrispondente avesse avuto difficoltà simili alle loro - al mattino del giorno dopo non avrebbero avuto la liquidità necessaria per operare, pur senza avere “colpe” dirette.

Così le banche iniziarono a prestarsi reciprocamente sempre meno denaro.

Voglio far notare che, anche se adesso la situazione pare chiarissima, a quel tempo non era per nulla chiara. Ad esempio la Banca Centrale Europea, fino a luglio scorso ha approntato interventi che andavano in direzione opposta rispetto a quello che viene considerato corretto in base a questa interpretazione.

mercoledì 15 aprile 2009

E se Berlusconi diventasse il nuovo “Che”?

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
Il fatto che Bersani abbia da pochi minuti parlato di scudo fiscale mi induce a pubblicare con un certo anticipo questo post, che era per la prossima settimana.


E' notizia recente che dopo il G20 la black list dei paradisi fiscali si è svuotata: l'epoca del segreto bancario assoluto appartiene al passato. Quello che fino ad ieri era tollerato oggi non lo è più. Svariati Paesi, dalla vicina Svizzera fino ad alcuni remoti ed assolati lidi, stanno chiedendosi come coniugare la necessità di collaborazione fiscale con la protezione dell’industria finanziaria là residente.

Prendo spunto da questa notizia per tracciare la trama di una novella fantapolitico-finanziaria.

L’azzeramento della black list potrebbe essere il primo passo di una azione del G20 per:
- rimpinguare i bilanci statali portando alla luce del Fisco patrimoni sconosciuti;
- ricondurre al servizio dell’economia reale patrimoni dediti oggi alla speculazione finanziaria;
- punire gli hedge fund che per lustri hanno vanificato o reso più difficili e dispendiosi i tentativi di governare l’economia mondiale;
- ridurre l’importanza dei Paesi “paradisi fiscali”.

In pratica si tratterebbe di effettuare a livello globale una manovra simile ai già visti “scudi fiscali”: un rientro “volontario” dalle sedi off shore con la garanzia che il pagamento di una percentuale procurerà l’estinzione di ogni eventuale illegalità correlata al patrimonio rientrato.

Se l’operazione fosse effettuata congiuntamente - o al peggio se l’Italia fosse la capofila del drappello europeo - la messe potrebbe essere particolarmente ricca per il fisco in quanto non lascerebbe scampo, proprio a causa del carattere globale dell’iniziativa.

Tuttavia si tratterebbe questa volta dell’emersione dei capitali dei “pesci grossi”. Infatti se col primo e secondo scudo è rientrato chi era in condizioni di marginalità, ovvero chi aveva ereditato le somme o comunque persone il cui baricentro economico è l’Italia, oggi si tratterebbe di stanare il patrimonio finanziario del Gotha economico.

I Governi subiranno allora forti pressioni da parte delle lobbies a favore del mantenimento dello status quo. Dall'altro lato vi saranno invece i “falchi”.

Ma chi potrebbe essere un “falco” oggi, in Italia?

Sotto elezioni molti hanno ottime ragioni per diventarlo.

A sinistra ci sarà chi riterrà giusta l’operazione per ragioni ideologiche; nel centro sinistra ci sarà chi ne approfitterà per rinsaldare l’opposizione e polemizzare col governo sull’esiguità della percentuale richiesta per sanare le posizioni; ci sarà poi chi vorrà cavalcare l’onda del giustizialismo.

A destra “falco” potrebbe essere chi ha responsabilità di bilancio, ma anche i populisti e i terremotisti.

Il nostro governo potrebbe essere quindi tra gli esponenti della linea dura. Muoversi a livello europeo, avrebbe - tra gli altri - anche il vantaggio di poter opporre ai potenti lobbisti “pro paradisi” le difficoltà per un Governo singolo di muoversi controtendenza.

Se così fosse, a ridosso della scadenza elettorale, potremmo assistere a qualche azione plateale e durissima verso i capitali detenuti all’estero: i “ricchi” piangerebbero per mano di un governo di centro destra.

Dopo (il presumibile trionfo elettorale dei partiti di governo sostenitori dell’”operazione rientro”) ci sarebbe poi modo di ammorbidire le posizioni.

L’epilogo sarebbe virtuoso per tutti, eccetto che per i paradisi fiscali: ci sarebbe un miglioramento dei bilanci statali; maggiori risorse verso il sistema industriale; diminuzione del peso dei capitali dediti alla speculazione, minore necessità di rigore nei conti.

Se veramente così dovesse andare, la Storia avrebbe dimostrato di avere più fantasia degli uomini. Berlusconi farebbe quello che la sinistra estrema ha sempre sognato: un “esproprio proletario", magari un po' più morbido.

mercoledì 8 aprile 2009

Agnelli e cigni

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L’ ambizione di riflettere prendendo spunto dall’attualità ha un sapore differente quando una tragedia collettiva incombe. Le mie parole, scritte prima del terremoto, assumono adesso un significato differente e sono una esemplificazione terribile dell’argomento di cui parlerò nel prosieguo.

L’animo mi duole nel pensare di avere avuto l’opportunità di supportare i miei argomenti con un esempio così sinistramente potente.

Esprimo, prima di iniziare, la mia solidarietà e vicinanza alle vittime di questa immane tragedia.


Si narra di un giovane ovino che, avendo tempo libero, decise di dedicarsi alla filosofia.
Tra le svariate osservazioni una gli parve subito molto evidente: veniva regolarmente sfamato e curato. Ne concluse che il pastore gli voleva bene e giorno dopo giorno il suo convincimento cresceva.

Tuttavia verso Pasqua un solo evento contrario alla lunga serie di osservazioni effettuate in precedenza gli cambiò la vita: finì in pentola.

Un americano di origine libanese ha battezzato “cigni neri” questi avvenimenti rari e drammaticamente in controtendenza con le passate osservazioni.
Il nome deriva dal fatto che un tempo si asseriva che non esistessero cigni neri, poiché non ne erano mai stati visti. Poi un giorno vennero scoperti in una remota regione australiana.

Il cigno nero è quindi un evento che sconvolge le ipotesi costruite in precedenza sulla scorta delle osservazioni pregresse. La nascita di un amore o una rivoluzione sono “cigni”.


Ma i “cigni” insegnano qualcosa o vengono meramente subiti?

La mia opinione è pochi dispongano delle capacità emotive ed intellettuali per decodificare un evento rapido e traumatico: quindi i “cigni” vengono prevalentemente subiti. Ritengo che possano essere poi assorbiti nel tempo dalla coscienza collettiva se esiste una volontà “politica” che decida di tenerne vivo il ricordo. Diversamente, estintisi i protagonisti che costituiscono la memoria dell’evento, è probabile un ritorno alle pratiche che lo hanno generato.

Mi pare dunque saggio che il G20 abbia deciso la creazione di regole comuni per evitare il ripetersi di un contesto economico analogo a quello che ci ha condotto alla crisi attuale; parimenti è anche giusto avere un “giorno della memoria” e sarà un nostro dovere civile fare sì che questo sia l’ultimo terremoto in Italia con gravi ripercussioni per la popolazione.


Quali conclusioni è possibile trarre?

Come aveva già fatto notare K. Popper, molte osservazioni a favore di una tesi non la confermano in modo definitivo. E’ quindi è opportuno essere cauti quando si basano i propri comportamenti su osservazioni passate, sperando nella prosecuzione eterna del fenomeno osservato.

In campo economico un esempio macroscopico è dato dal comportamento dell’investitore medio, che vende sui minimi e compra sui massimi, osservando l’andamento passato dei mercati.

Ma cercare di spiegarne il motivo è argomento della prossima settimana.

giovedì 2 aprile 2009

Le azioni, i mattoni ed il paradosso di Condorcet - 2

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

La settimana scorsa abbiamo visto che gli investimenti immobiliari - che sono certamente una base indispensabile per strutturare un patrimonio familiare - godono di notevole reputazione tra gli investitori sia per caratteristiche intrinseche sia per caratteristiche relative al mercato di riferimento.

Resta adesso da analizzare quali siano le caratteristiche del mercato mobiliare, e scoprire come queste caratteristiche influiscono sulla formazione dei prezzi dei titoli.


Gli investimenti finanziari, a differenza di quanto avviene con gli immobili:

- sono quotati ogni giorno su mercati regolamentati in modo stringente.

- Hanno prezzi, specie in certi periodi, ampiamente pubblicizzati anche sulla stampa non specializzata. E’ pertanto quasi impossibile non essere consapevoli della performance del proprio patrimonio.

- sono assolutamente identici: l’azione della società X detenuta nel portafoglio personale è identica a quella scambiata sul mercato. Quindi non c’è modo di mitigare il proprio giudizio relativo alla sagacia o alla modestia della scelta effettuata, contrariamente a quello che accade con due appartamenti simili.

- I compratori ed i venditori hanno una numerosità quasi infinita e ben definita (per prezzi e quantità), quindi i tempi per operare sono ridottissimi.

- Le transazioni non necessitano di particolari formalità e i costi sono minimi.

Queste caratteristiche apparentemente ideali consentono di riversare lo stato emotivo dell’investitore in modo pressoché istantaneo sul mercato, con la conseguenza di generare un forte rumore di fondo.

Senza voler assegnare ad una categoria la palma di “miglior” investimento, diventa evidente che i paragoni tra le due asset class dovrebbero essere proposti con una certa cautela.


Concludo con qualche provocazione.

Alla notizia che le Assicurazioni Generali o la Fiat hanno perso il 50% dai massimi verrebbe in mente di comperarne o di venderne?

Se trovaste una casa nella via principale della vostra città alla metà del prezzo dell’anno prima, la comprereste, o dopo averla vista in vendita, mettereste in vendita anche casa vostra a metà prezzo?

Se sul mercato mobiliare si applicassero i medesimi meccanismi di quello immobiliare, i promotori finanziari sarebbero disoccupati, poiché la capacità più rilevante per il successo della coppia cliente /promotore, oggi, non è la capacità di indicare un buon investimento, quanto la capacità di far restare il cliente sulla posizione scelta il tempo necessario a farlo guadagnare adeguatamente.

Per questa ragione i grandi player del mercato mobiliare hanno buon gioco a creare strumenti di investimento opachi e vincolanti: sono facili da collocare, difficili da liquidare prima della scadenza “naturale”, e redditizi… per chi li emette.