sabato 27 dicembre 2014

Investimenti: la rappresentazione del rischio attraverso una metafora attuale


La recente approvazione del job act  mi ha portato a fare un parallelismo tra le macrocategorie dei lavoratori italiani (autonomi e dipendenti) e le macrocategorie degli investimenti (azioni ed obbligazioni).

Credo che sia una metafora utile ad un investitore digiuno di strumenti idonei alla comprensione formale del rischio finanziario. Ma non solo...

Il reddito generato da un autonomo è variabile: dipende dal contesto economico, se espansivo o recessivo, dal settore, dalla specializzazione, e da quanto tempo è in affari.

Non solo: anche quando i flussi economici sono buoni, la propria professionalità potrebbe diventare rapidamente obsoleta, a causa di una variazione del contesto, e potrebbe essere necessario riconvertirsi, ovviamente a proprie spese.

Questo implica che il lavoratore autonomo deve essere molto più consapevole del proprio ruolo e del contesto in cui vive. Analogamente, l'investitore in azioni deve capire profondamente le implicazioni delle proprie scelte.

Circa la variabilità del sistema economico amo questo esempio: immaginate la crisi e il trauma subito dai maniscalchi con l'avvento dell'automobile. Una categoria utile il cui business era stabile da secoli. Tuttavia dai primi del novecento sono diventati una categoria in declino, senza speranze di rilancio.

A questo proposito riporto un aneddoto gustoso sulla efficacia delle previsioni di lungo periodo.

Alla fine dell'Ottocento c'erano foschi orizzonti per la città di NY, poiché proiettando la crescita della popolazione ed il rapporto tra uomini e cavalli si era calcolato che entro i primi anni Venti del secolo successivo la città sarebbe stata sommersa dallo sterco di cavallo. Poi nell'arco di due decenni, che hanno invertito un trend secolare, l'avvento dell'automobile dispensò la Grande Mela dal diventare una sorta di putrida Venezia (o se preferite uno humor più greve di diventare la Grande M...a).

Tornando a noi. Per queste ragioni mi pare equo e comprensibile che il flusso reddituale per gli autonomi sia più abbondante nei momenti favorevoli.

Tuttavia dal punto di vista della “percezione sociale” gli autonomi sono invidiati nelle fasi di espansione del ciclo economico e dimenticati - perchè meno visibili - in quelle di recessione.

Ammettiamo infatti di avere due gruppi: uno di autonomi ed uno di dipendenti. Immaginiamo che il reddito del gruppo sia pari a 100 in entrambi i casi.

Se il contesto economico si deprime ed il reddito si dimezza, gli autonomi restano formalmente occupati e mediamente guadagnano 50. Al contrario è facile che tra i dipendenti la metà sia stata licenziata: la metà licenziata è molto visibile e la metà occupata potrebbe essere poco consapevole del rischio corso.

Tuttavia nell'immaginario collettivo la memoria dei flussi reddituali percepiti dagli autonomi delle fasi positive resta molto impressa e pertanto la categoria viene sovente indicata dagli arruffapopolo come il “giusto” bersaglio per eventuali recrudescenze fiscali.

Un lavoratore dipendente ha avuto invece una vita molto meno densa di sbalzi emotivi e materiali. Il lavoratore italiano che mediamente firmava un contratto, 30 anni fa, sapeva che se non avesse commesso errori gravissimi sarebbe stato praticamente a posto per la vita. Sebbene il flusso reddituale in genere non sia mai stato esaltante, il sistema di relazioni sindacali, l'anzianità, le ferie, il welfare statale con l'eventuale cassa integrazione, gli hanno permesso di non essere quasi mai troppo sotto pressione.

Una sola evenienza ha potuto turbare il dipendente di una volta: una crisi aziendale protratta nel tempo.

Le pressioni delle riorganizzazioni, i tentativi della direzione aziendale di migliorare i margini non sono facilmente visibili dall'esterno, anche quando sono estremi: in questi giorni un amico mi ha raccontato che tra i suoi colleghi, negli ultimi mesi, sono aumentati in modo drammatico i casi di infarto, ma questo non trapela, e lui continua a ricevere lo stipendio regolarmente.

Ma anche quando iniziavano le ristrutturazioni, spesso - sebbene ci fossero presagi funesti - non si avevano avvvisaglie concrete dell'imminente sciagura. Si riceveva lo stipendio fino all'ultimo e si capiva di essere nei guai nel momento della ricezione della lettera di messa in mobilità o quando non si riceveva più la busta paga.

Analogamente avviene negli investimenti obbligazionari per i casi di default del debitore. L'Argentina ha pagato le cedole fino all'ultimo, anche quando la gente era in piazza, e poi... ha ristrutturato.

In questo senso l'investimento obbligazionario è molto più traditore per l'investitore l'inesperto.


Per concludere rapidamente.

Circa gli investimenti azionari, la massa si sente naturalmente cauta: fin troppo se si volesse impostare razionalmente una strategia di investimento. Questo perchè in qualche modo si percepisce che si tratta di un settore soggetto a sbalzi. E poiché non è facile per il profano capire come regolare il rischio, preferisce esagerare con la prudenza, salvo poi accelerare quando invece sarebbe ora di essere prudenti.

Nel caso di un lavoratore dipendente a meno di non essere esperti ad es. di relazioni sindacali diventa molto difficile e quasi innaturale percepire il rischio. E quando lo si subisce in modo traumatico si è maggiormente propensi a ritenere di essere vittime di circostanze eccezionalmente ingiuste. Proprio come gli investitori con il default dell'Argentina.

Un lettore attento potrebbe osservare: “Che dire della flessibilità introdotta negli anni recenti e in questi giorni?”

C'è una categoria di strumenti finanziari ibridi, che assomigliano un po' ai lavoratori di questi tempi. Ma proseguire il paragone è poco utile.


Siamo sempre più esposti agli effetti del ciclo economico, sia come lavoratori sia come investitori. Per questo sarebbe opportuno avere non solo un sindacato di fiducia ma anche un gestore di patrimoni (poco tanto che sia) al quale affidarsi.

domenica 21 dicembre 2014

I neet, Amazon ed il futuro lavorativo

Riprendo volentieri la tradizione natalizia che mi vedeva comporre in questo periodo post stralunati e affabulatori (qui e qui) sulle prospettive di lungo periodo del mondo.

 Di recente ho incontrato una persona assai brillante, che, nel corso della sua relazione, ha detto una frase che riconosco come vera ed essenziale.

Questi all'incirca affermava che la differenza tra una macchina ed un uomo è che la macchina risponde alle situazioni in base alla programmazione che ha ricevuto, un uomo può farlo, ma può anche inventarsi un contesto differente....

Un corollario di questa affermazione interessa i nostri figli e forse anche alcuni di noi.

Grazie alla tecnologia, nel futuro ci saranno due tipi di lavori. Quelli automatizzabili e quelli non automatizzabili. 

Solo i lavoratori che si occuperanno di questi ultimi saranno importanti perché faranno un lavoro che nessuna macchina potrà mai fare: creare nuovi contesti.

Gli altri lavoratori, quelli che fanno lavori automatizzabili saranno più o meno fungibili: o con altri lavoratori meno pretenziosi o con macchine via via sempre più sofisticate.

La conseguenza è che nel futuro quindi vi saranno due tipi di lavoratori. Quelli che programmeranno le macchine e quelli che prenderanno ordini dalle macchine.

A questo punto credo che sia piuttosto evidente cosa c'entri Amazon in tutto questo.

Molti dicono che il sistema Amazon è antietico per il livello di stress che impone ai dipendenti. Basta googlare un po' per documentarsi.


Non voglio entrare nel merito dell'etica in questa sede, anche se non ho dubbi che i lati oscuri di questo sistema siano molti. Faccio tuttavia osservare a chi si straccia le vesti che il "metodo Amazon" potrebbe essere considerato la prosecuzione del colonialismo con altri mezzi; giusto per parafrasare un famoso generale prussiano.

Prego tuttavia anche i sostenitori di quel filosofo che diceva di voler combattere "lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo" di non sentrsi autorizzati ad essere nè ottimisti nè migliori della controparte. La storia ha mostrato ampiamente anche i limiti di quelle baggianate.

Lo so che a Natale sarebbe bello avere una prospettiva rosea, ma questo è quello che vedo oggi. E forse in qualche modo lo "sentono" anche i nostri ragazzi, che preferiscono godere oggi - mentre qualcuno li foraggia - sicuri che in ogni caso per la massa di loro le cose non potranno che peggiorare.

venerdì 5 dicembre 2014

Accadde ieri - 7/12/1941

E' arcinoto che questa è la data dell'attacco del Giappone alla base americana di Pearl Harbour.

E' un po' meno noto che
- l'attacco fosse stato ideato proprio per avvenire di domenica;
- la dichiarazione di guerra sia stata consegnata nei minuti dell'attacco.

E' noto solo ai cultori della Borsa che il giorno dopo, lunedì 8/12 l'indice Dow Jones segnò il minimo del ciclo ribassista1937-1941. Iniziò così il ciclo rialzista 1941 -1945.

La cosa più incredibile è però la risposta alla domanda "Quale fu il settore che segnò i maggiori rialzi nel periodo del conflitto?"

Le ferrovie!

Questo fa capire come la finanza sia controintuitiva.



E tanto per dare una idea della potenza americana una domanda di storia militare.

Quante furono le portaerei prodotte dal Giappone nel corso del conflitto?
Meno di 10.

Quante quelle costruite dagli americani?
Ho sentito dire di recente oltre 90.

Quanti furono i carri pesanti tedeschi prodotti nel conflitto?
1300 (modello Tigre).

E quanti carri americani?
47.000 (M47)

Buona Immacolata a tutti.