sabato 18 febbraio 2012

Una cortesia che chiedo ai miei lettori

In tutta sincerità non credevo che il mio blog potesse avere più di un paio di lettori.
Il fatto che registri da almeno un anno alcune centinaia di visualizzazioni al mese mi lascia stupito.

Chiedo a tutti la cortesia di farmi sapere che cosa vi spinge a seguirmi e a dirmi se posso migliorare, per esempio affrontare argomenti che possano essere graditi.

Inoltre ho visto che il 20% delle visite proviene dagli Stati Uniti. :-O

In realtà credo che si tratti visite fugaci: quando si imposta una ricerca per parole chiave si fa poi una selezione dei risultati e quindi non credo che ci possa essere più di un lettore reale fuori dall'Italia.

Anche lui è caldamente invitato a dirmi la sua opinione.

Grazie a chi vorrà rendermi partecipe dei suoi pensieri.

venerdì 17 febbraio 2012

La democrazia attenuata 5/5

La complessità riserva uno shock esiziale al mondo occidentale?

Occorre puntualizzare anzitutto che non è solo il mondo occidentale tout court a correre gravi rischi in caso di shock sistemico. Oggi, anche se grossolanamente, si può inglobare nel “sistema occidentale” una ampia parte del Mondo.

E' noto quali siano le preoccupazioni dei governanti cinesi: una crescita del PIL inferiore all'8% annuale crea problemi interni che rischiano di portare ad uno sfaldamento della Repubblica Popolare, e stiamo parlando del sistema politico ed economico formalmente meno integrato all'Occidente.

La pervasività delle tecnologie, la complessità dei rapporti economici, il passaggio dall'economia industriale all'economia dei servizi creano connessioni difficili da individuare ex ante che possono generare infiniti casi di élites che possono fruire di attraenti moral hazard.

Due esempi molto schematici chiariranno meglio il pensiero.

La crisi dei mutui subprime è stata generata da strumenti che sono stati “impacchettati” e redistribuiti in tutto il sistema bancario mondiale (con l'eccezione dell'Italia). In apparenza non c'era nulla di male nel cartolarizzare mutui e rivenderli. Tuttavia la consapevolezza che questi mutui sarebbero stati rapidamente ceduti a terzi ha invogliato gli erogatori a finanziare soggetti estremamente rischiosi poiché l'alea assunta sarebbe stata prontamente trasferita.



Le attuali sanzioni contro l'Iran, sebbene siano condivisibili sotto molti punti di vista, hanno il non banale difetto di abbassare il costo opportunità di una guerra, per l'élite iraniana al potere.

Se l'economia è allo sfascio e il rischio di insurrezione è reale - poiché l'obiettivo dell'élite è di restare al potere - provocare una guerra diventa meno costoso. Tuttavia le conseguenze di un conflitto non sono prevedibili.

Pare che la Storia, anche recente (Saddam Hussein, Gheddafi) indichi che i regimi - se messi alle strette – abbiano una certa propensione all'azzardo. Abbastanza curiosamente(?) D. Kanheman - Nobel per l'economia nel 2002 - e Tverski (al quale non fu assegnato ex aequo il Premio perché defunto) hanno ampiamente dimostrato come l'uomo sia avverso al rischio, ma solo nel dominio positivo della funzione di distribuzione delle probabilità. Nell'altra parte del dominio invece lo accetta facilmente. Detto altrimenti: si preferisce una vincita certa anche se piccola rispetto all'alea di una vincita maggiore, ma si preferisce l'incertezza di un danno maggiore alla certezza di un danno modesto.

Lo scenario descritto quindi non è incoraggiante perché le complessità del “sistema mondo” aumentano con il fluire del tempo e sono aggravate dall'assenza di un regolatore o di un set di princìpi di comportamento condivisi. E' impossibile dire se uno shock, sia casuale sia provocato ad arte possa essere esiziale o meno per il sistema. Per contro mi pare una facile previsione quella che nel futuro le turbolenze socio-economiche non diminuiranno, né di numerosità né di intensità.

Posso prevedere per esempio che, salvo cambiamenti epocali, la quantità di dolore e rancore accumulato contro la Germania a causa delle politiche restrittive che questa ha imposto ai paesi europeriferici porterà nel medio periodo alla fine della moneta unica, per ragioni che viste “da nord” sembreranno “inconcepibili”.



La democrazia attenuata 4/5

La politica rincorre l'economia? Ci aspetta una “democrazia oligarchica”?

Oltre alle osservazioni di Pareto e prima ancora dell'avvento della globalizzazione è la complessità del nostro mondo a porre nuovi interrogativi sul futuro della democrazia e dei suoi strumenti. Le problematiche alle quali sono chiamati a decidere i cittadini sono sempre più complesse e di respiro sempre più ampio.

Se possiamo illuderci – a mio avviso erroneamente - che un tempo fosse più facile per il popolo comprendere gli argomenti sui quali era chiamato a decidere, e se oggi fa sorridere che in alcuni cantoni svizzeri sia ancora necessario un plebiscito comunale per autorizzare gli ampliamenti delle abitazioni, credo sia oramai palese la distanza tra il corpo elettorale e gli argomenti sui quali è chiamato talvolta ad esprimersi.

Se comunque nel passato potevano essere concepibili e forse adeguati i meccanismi della democrazia diretta già dagli anni 80 del secolo scorso con l'ondata dei referendum popolari sull'abolizione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste o del referendum sull'energia nucleare si capisce come le scelte alle quali la cittadinanza è chiamata a decidere diventino sempre di più ardua comprensione per il cittadino medio, che tende ad oscillare tra l'idealismo e un presunto pragmatismo.

Questa osservazione liquida la sostanza della democrazia intesa come “governo diretto del popolo” anche su porzioni minori delle decisioni politiche.

Se a quanto detto aggiungiamo l'ulteriore tessera del fenomeno recente della globalizzazione, che non può essere fermata o invertita, comprendiamo in pieno (l'almeno attuale) inadeguatezza delle istituzioni ereditate: a fronte di necessità globali quali la regolamentazione dell'inquinamento, lo sfruttamento delle risorse naturali, ma anche più “semplicemente” sulle scelte più adeguate per stabilizzare il sistema economico mondiale, si capisce come i gli ambiti nazionali siano diventati decisamente obsoleti.

In assenza di un afflato ideale le vicende politiche sono vissute dalla massa con fastidio o indifferenza, e se oggi è quindi visibile il declino della partecipazione o la radicalizzazione delle istanze - cavalcata da avventurieri che fanno del governo della polis una ignobile professione - diventa difficile immaginare che le vecchie regole possano produrre un miglioramento della situazione attuale o futura.

Ma anche se una certa parte del mondo fosse sensibile alle tematiche del buon governo avremmo sempre una ampia divergenza tra i popoli rappresentati ed informati e quelli non rappresentati e non informati. Non si può vagheggiare che la tecnologia possa aprire le porte ad una democrazia globale: da un lato metà della popolazione della Terra non ha mai acceso una luce elettrica e dall'altra parte non è possibile non rilevare l'azione di vaste organizzazioni economiche che nella tensione, lecita, di procurarsi vantaggi economici influenzano e deformano nelle masse la percezione della realtà, diventando quindi nuovi attori politici in senso ampio.

Possiamo trarre un esempio didascalico dal recente sviluppo tecnologico: dagli albori dell'informatica e fino a quando Windows è diventato lo standard di fatto del personal computing gli esperti sono sempre stati molto polemici riguardo al sostanziale monopolio della società di Redmond, poiché l'omologazione ha molteplici controindicazioni.

Oggi poi compare un fenomeno nuovissimo che affliggerà il mondo occidentale in modo ancora più pesante. Attualmente questa moda è attribuibile a questioni di competizione economica, ma come anticipato poc'anzi potrà essere cavalcata presto da parti politiche.

E' in atto la tendenza a sostituire i PC, che sono strumenti almeno potenzialmente versatili, dove l'utente ha un forte controllo della macchina, con una serie di altri hardware fortemente specializzati, dove l'utente non ha più controllo del sistema. Usando un innocente Iphone si abdica, per comodità o per moda, a certi diritti.

Mi spiego meglio: finché una lavatrice ha un insieme di programmi rigidi l'utente scambia la libertà di lavare come crede i propri panni con una grande semplicità d'uso e in questo caso il baratto è poco pericoloso. Quando si passa però dalla lavatrice a strumenti che permettono o meno la diffusione di contenuti intellettuali il baratto proposto (e spessissimo inconsapevolmente accettato) è quello tra essere “cool” e far decidere ad un altro quali flussi informativi devono raggiungermi.

In altri termini le “app” per i telefoni intelligenti che si scaricano gratuitamente sono sottoposte alla preventiva approvazione delle case detentrici dei sistemi. Queste arbitrariamente possono decidere quali “app” diffondere e di conseguenza selezionare la fruizione dei flussi informativi a proprio piacimento.

Per concludere: se un tempo si definiva “liquida” la società1 adesso il rischio è che diventi liquido il potere, ovvero che le decisioni siano prese non all'interno di gruppi esclusivi, ma, cosa infinitamente peggiore, da aggregazioni temporanee di potentati che non sono neppure in contatto diretto tra loro, ma semplicemente accomunati da convergenze contingenti.

Naturalmente questa possibilità comporta una tendenza all'entropia del sistema che è infinitamente maggiore rispetto a quella precedente. La lotta contro gli interessi del complesso militar industriale denunciato da Eisenhower diventa quasi un gioco da ragazzi, perché allora almeno si sapeva in che direzione guardare.

1Bauman Z., Modernità liquida, Bari, Laterza, 2003;

La democrazia attenuata 3/5

La disillusione di Pareto

Agli inizi del 20° secolo Pareto si propone di rifondare la sociologia partendo da due osservazioni: la prima è che nella maggior parte dei casi l'individuo si comporta in maniera non logica: per dirla in termini berniani Pareto osserva acutamente che siamo in balia del nostro Bambino.

La seconda deriva dalla constatazione che all'interno delle società vi sono gruppi che dispongono di potere e ricchezza ed altri che ne hanno quantità sensibilmente inferiori.

Evidentemente i tempi erano maturi e i padri della psicoanalisi non erano gli unici ad avvertire la necessità di allargare il raggio delle esplorazioni del comportamento umano.

Pareto quindi elabora una teoria delle élites dove sostiene che ogni società nel corso del proprio sviluppo ha dovuto misurarsi con il problema dello sfruttamento e distribuzione delle risorse scarse.

La creazione di élites è stata la risposta generale, declinata tramite differenti meccanismi sia di formazione sia di ricambio, a seconda delle strutture sociali e dei tempi1.

Pareto evidenzia come l'azione di gruppi organizzati possa influenzare pesantemente le vicende di una moltitudine, negando la sostanza della democrazia intesa come potere del popolo. Osservo tuttavia che il vantaggio della democrazia è di aver reso un po' meno irrazionali i meccanismi di formazione e rinnovamento delle classi dirigenti. Siamo passati dal diritto di sangue o divino a quello del popolo.

L’elitismo immagina quindi una società in cui le élites sono obbligate a competere per soddisfare i loro “clienti” e quindi è più efficiente di altre forme di governo.

Per certi versi l'elitismo ha una radice comune ai libertarismi “di sinistra” ma, mentre per gli elitisti le istituzioni statali sono una realtà che non si può mettere in discussione, per i libertari lo Stato è una creazione storica post medioevale. E' un’istituzione, o per usare una frase cara al giudice Falcone “E' un fatto umano e come tale ha avuto un’origine e avrà una fine”.

Per tornare all'analisi storica, temo che dopo gli anni 20 del Novecento chi avesse avuto l'illusione romantica che la scienza avrebbe potuto portare l'umanità verso nuove frontiere, non solo della tecnologia ma anche della felicità, avesse già molti elementi per per dubitarne, anche se naturalmente ex post tutto è molto evidente.

1Pareto V. Trattato di sociologia generale Curato da Busino G. UTET, Torino, 1988;

La democrazia attenuata 2/5

La democrazia liberale e la fuga in avanti dei libertarismi

Il pensiero liberale e le forme di governo che ne discendono sono estremamente robuste perché hanno trovato il giusto equilibrio tra la limitazione dell'individuo - che semplicemente non deve attentare in modo immediato e diretto alla vita e agli interessi dei propri simili - e la possibilità di comportarsi in modo istintuale, ovvero di lasciare che il proprio bias si esprima.

Ritengo che il pensiero liberale sia l'evoluzione darwiniana di un sistema dove - per ragioni che sarebbe troppo lungo esaminare - la produzione materiale è cresciuta moltissimo, rendendo inutile la forte rigidità sociale che è invece necessaria in altri contesti per assicurare la continuazione del sistema attraverso la salvaguardia del gruppo dirigente. La rigidità sociale diventa cioè un esoscheletro che, dato l'ambiente meno difficile, può essere abbandonato.

In sostanza limitando poco quelli che Keynes definiva gli “
animal spirits” i cittadini sono più liberi di agire, creando una maggior crescita economica che non poteva essere garantita dai sistemi più rigidi. In questo caso non mi riferisco solo alle economie pianificate, ma anche ai sistemi basati sul diritto consuetudinario o sulle caste.

La crescita economica così ottenuta consente ad una ampia parte dell'umanità, seppure in misure molto differenti, di conoscere agi impensabili fino a ieri. Tuttavia occorre rimarcare che nelle popolazioni più favorite non si presenta in modo naturale un dibattito sull'equità della distribuzione globale delle risorse e tanto meno si teorizza un sacrificio volontario a favore di un riequlibrio dei consumi.

Il liberalismo è nato in un periodo nel quale l'uomo si poteva immaginare come infinitamente piccolo nei confronti del creato e pertanto infinitamente libero. In seguito il progredire della consapevolezza del proprio impatto sull'ambiente ha necessariamente ridefinito il rapporto tra la specie e l'ecosistema che lo ospita; tuttavia in ambito politico ed economico non sono ancora copiosi i frutti di questa nuova consapevolezza.

Si potrebbe azzardare quindi che il liberalismo sia il frutto di una trappola cognitiva dell'uomo occidentale, reso cieco dalla scienza. O se si preferisce si potrebbe affermare che l'abbondanza di cui godiamo sia il ritorno sull'investimento generato dal ritrarsi della nostra consapevolezza di essere parte dell'Universo.

Queste considerazioni sono quelle più contingenti per noi, oggi, ma molte altre sono state esplicitate da almeno un secolo e mezzo, portando alla conclusione che era doveroso creare un sistema che non richiedesse pesantissimi tributi ai governati, in particolar modo agli “ultimi”.

Pertanto individui più sensibili della media hanno iniziato a disegnare progetti di sviluppo alternativi, tesi a “correggere” le conseguenze degli ultimi 500 anni di Storia.

Poiché come ho già detto l'istinto creativo risiede nel Bambino spessissimo questi disegni sono ingegnosi voli pindarici poggianti su fondamenta poco stabili.

Mi permetto di essere così pesantemente critico perché in tali teorizzazioni non si tiene conto della duplicità dell'animo umano e si tende a imporre modelli che, seppur animati dalle migliori intenzioni, non hanno possibilità concrete di realizzarsi, imponendo ancora una volta un copione solo perché è “razionale” e “giusto”.

Si voleva allora esportare “la giustizia” esattamente come oggi si vuole esportare la democrazia manu militari, quando invece è indispensabile una maturazione individuale e collettiva che naturalmente non può essere effettuata per via traumatica.

Tuttavia poiché il Bambino non ammette facilmente la propria sconfitta ecco che talune ideologie impiegano o giustificano il ricorso alla violenza pur di imporre il proprio progetto. Così anche un modello nato con velleità “biofile” può degenerare e ricorrere a metodi distruttivi.1

Non solo, occorre rimarcare che ogni progetto sociale deve essere interpretato da un gran numero di persone; naturalmente chi possiede un bias distruttivo e si ritrova ad avere una giustificazione morale per assecondare il proprio istinto, fino ad allora represso, diventerà particolarmente zelante e devoto alla “causa”.

In questo modo è possibile comprendere per quale ragione in caso di conflitti si trovino a frotte gli aguzzini e i torturatori.

1ricordo che una delle battaglie combattute da K. Popper è contro la tesi “dell'evidenza della verità”: se la verità fosse evidente negarla equivarrebbe a dichiarare di avere un vantaggio nel farlo (o se si preferisce la si negherebbe perché “posseduti dal demonio” o perché “ebreo” o “nemico del popolo”). Viene da sé che per contrastare tali categorie la soluzione necessaria per ristabilire la verità transiterebbe attraverso le “maniere forti”;

La democrazia attenuata 1/5

Questo è il primo di 5 post collegati relativi ai limiti della democrazia. Vi offro la riduzione di un lavoro più ampio che mi ha impedito di essere presente di recente con argomenti di attualità.

Si tratta di un lavoro decisamente tecnico reso ancora più ostico dal fatto che viene pubblicato in forma ridotta.

Complimenti vivissimi a chi riuscirà ad arrivare in fondo.

Se si esclude un manipolo di precursori, da Condorcet a Serge Latouche - il dibattito sui limiti della democrazia è questione relativamente recente: il mio contributo è teso a rimarcare il punto di vista, attinente alle ragioni “profonde” del successo e dei limiti del sistema politico ed economico occidentale, che è connesso alla struttura psicologica dell'uomo.

Anticipo in una battuta la conclusione: sfortunatamente, l'ampliamento dell'analisi a questi ambiti non induce all'ottimismo: se le mie osservazioni fossero, come ritengo siano, sostenibili, sarebbero invalidati alla radice parte degli strumenti concettuali fin qui usati per analizzare e modificare i sistemi sociali e politici. O, se si preferisce, in questo elaborato offro alcuni spunti non convenzionali di riflessione circa le cause del fallimento sia dell'analisi sia dell'azione politica quando si rivolge alla ricerca di sistemi alternativi rispetto all'attuale.

Secondo Erich Fromm1, ma non solo, l’uomo ha due driver comportamentali: uno biofilo ed uno distruttivo.

Se non si può affermare che Fromm abbia apportato concetti nuovi in merito alle forze che indirizzano i comportamenti umani, ha tuttavia il merito di evidenziare come ciascun essere, per ragioni fisiologiche e psicoanalitiche abbia una inclinazione predefinita che difficilmente può essere modificata.

Eric Berne, padre dell'analisi transazionale, è diventato famoso per aver intuito e giustificato in chiave psicologica che molta parte del comportamento socialmente accettato è una forma di “assicurazione collettiva” per permettere la stabilità delle comunità e la gratificazione degli individui.

Secondo Berne2 in ciascuno di noi albergano tre entità distinte, il Bambino, l'Adulto ed il Genitore. L'Adulto, almeno inizialmente, è visto come colui il quale presiede alla gestione della realtà contingente; è quello che “fa attraversare la strada... guidare l'automobile”. Non è cioè inteso come entità che deve mediare differenti istanze, a meno che non si tratti di banalità, come l'ordine con il quale fare le commissioni.

Il Genitore è una sorta di magazzino contenente tutti i nastri registrati che contengono precetti morali ma anche i rimproveri e le svalutazioni che abbiamo sopportato, con particolare riferimento alle esperienze infantili.

Il Bambino è anche l'istinto, la sede della creatività, del divertimento e dell'amore, ma anche dello spirito distruttivo. E' il motore, nel bene o nel male di ogni nostra iniziativa istintuale.

L'interazione tra queste tre parti genera la gamma dei comportamenti del singolo, mentre
i rapporti interpersonali possono essere spiegati con l'interazione tra le sei persone presenti nei due individui. In questo senso Berne nel suo classico “A che gioco giochiamo” propone una mappatura piuttosto completa delle interazioni sociali e degli scopi che queste si prefiggono.

E' ampiamente accettato dalla dottrina psicoanalitica che non riconoscere e gestire le proprie pulsioni non consente un approccio equilibrato alla vita, e come sostenuto da Daniel Goleman3 questo processo può essere, entro certi limiti, esteso anche ad una collettività.

Quindi tanto meno una società è consapevole delle proprie lacune4 e incapace di gestire i propri istinti, tanto maggiori sono le probabilità che non possa organizzarsi in modo costruttivo, sia in senso politico che sociale5.

1Fromm E. Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano, 12 ristampa 1996;

2Berne E. A che gioco giochiamo, Fabbri, 19 ed. Bompiani Milano, 2004;

3Goleman D. Menzogna autoinganno illusione, BUR Milano, 1998;

4“Lacuna” è il termine che Goleman usa come equivalente per la collettività della nevrosi;

5Credo che in questo senso sarebbe di estremo interesse capire quanto la Shoah abbia traumatizzato il popolo ebraico e se la questione palestinese non sia anche una conseguenza “nevrotica” di tale trauma;