giovedì 25 febbraio 2010

La fisiologia e gli investimenti

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
L’uomo, secondo alcuni eminenti psicologi, è fisiologicamente portato ad investire in asset a bassa volatilità*. Un anno fa scrivevo: “Secondo la Finanza Comportamentale, mediamente, la perdita di una somma è percepita come doppiamente dolorosa rispetto al guadagno del medesimo importo.”.**
http://epsilon-intervallo-grande.blogspot.com/2009/02/azioni-e-motori-gioie-e-dolori.html

Sebbene non sia l’unica regola di cui tenere conto, è tra le più immediate e quindi permette a tutti di iniziare a pensare in modo critico alle proprie reazioni ed ai propri atteggiamenti di investimento.

Per esercitarci proviamo a fare, sulla sola base di questa ipotesi, il bilancio emotivo dell’investitore che ha comperato l’azione X e che ne osservi quotidianamente l’andamento per un mese.

Immaginiamo per semplicità che il corso dell’azione sia privo di trend, ovvero che si muova casualmente oscillando intorno al prezzo di acquisto.

Dopo un mese, se i pesi delle emozioni positive e negative fossero uguali, il nostro investitore dovrebbe essere tutto sommato tranquillo: non sta perdendo, quindi non dovrebbe soffrire molto.

Ma le emozioni non hanno lo stesso peso. Nel giro di un mese lavorativo l’investitore avrà totalizzato circa 10 variazioni negative e 10 positive: il bilancio materiale dell’investimento è sulla parità, ma quello “emotivo” sarà (10 emozioni positive +10 *2 emozioni negative) = -10!

Ovvero dopo un solo mese in cui l’azione, tra l’altro, non è andata male, il nostro investitore è già di malumore.

Generalizzando appena un po’ possiamo affermare che le nostre sensazioni sull’investimento effettuato dipendono dal momento di ingresso, dalla sequenza degli eventi sui mercati, dall’arco temporale e dalla frequenza nell’acquisizione delle informazioni. Possiamo quindi affermare che c’è una relazione molto lasca tra il nostro sentimento e l’andamento oggettivo degli investimenti.

Facciamo adesso un passo avanti, affermando che il dolore della constatazione di una perdita è bilanciato da (almeno) un altro fattore: ovvero se la perdita è avvenuta sul “capitale” o sugli “interessi”.

Il dolore è più acuto se si perde sul capitale iniziale; meno se sono colpiti gli interessi.

Il fatto è che anche la percezione di cosa sia “capitale” e cosa siano “interessi” è variabile.

Per ragioni ataviche il cliente medio tende a chiudere il bilancio degli investimenti ogni anno, anche quando ha scientemente sottoscritto un contratto pluriennale. Così negli anni favorevoli, in modo inconsapevole, incorpora al proprio capitale una plusvalenza “intermedia”, sentendola invece “definitiva”. Ma se al contrario nell’anno concluso si è registrata una perdita, il capitale iniziale per l’esercizio successivo non viene decurtato, resta quello dell’anno precedente ancora.

Pertanto un’”ottica emotiva” annuale ci espone alla volatilità dei mercati, acquisendo come definitivi dati parziali favorevoli, e rigettando quelli negativi.

In questo modo l’investitore riesce a soffrire soffre anche in caso di andamenti pluriennali sostanzialmente positivi, poiché l’unica funzione che soddisferebbe l’ego dell’investitore (definito “miope” in letteratura) è una funzione monotona strettamente crescente!

Gli assicuratori hanno capito molto bene questo aspetto dell’animo umano e offrono polizze ad elevato contenuto finanziario che spesso - dal punto di vista dell’efficienza - fanno pena, ma che hanno il formidabile fascino di “consolidare” il risultato ottenuto a fine anno, per la felicità dei clienti ma soprattutto dei venditori.


*Mi limito in questa sede a ricordare che c’è tuttavia una minoranza di soggetti che si comportano in modo opposto.

** Questo è solo uno degli assunti della teoria che è molto più articolata, quindi le conclusioni alle quali perverremo, seppure ritengo siano sostanzialmente corrette, potranno sembrare contestabili: chi lo desidera può utilmente approfondire l’argomento leggendo Kahneman, Tversky, Motterlini, Ligrenzi, Rigoni ed altri.

giovedì 18 febbraio 2010

La Grecia e lo “Sconosciuto – Conosciuto”

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
Nella vita, come anche in finanza, la certezza assoluta non esiste. Anche il “tasso privo di rischio” non è tale, poiché fa riferimento ad obbligazioni di un emittente di massima solvibilità: sebbene vi siano infime possibilità che questi fallisca, non sono pari a zero.

Ho appreso tempo fa che i militari, che professionalmente hanno necessità di affrontare l’ignoto, lo suddividono in “sconosciuto conosciuto” e “sconosciuto sconosciuto”: con il primo termine intendono una serie di possibilità che rientrano nel novero dell’esperienza; con il secondo si riferiscono ad eventi totalmente nuovi.

In campo finanziario il fallimento della Leheman Brothers è un caso limite della prima specie, poiché in linea teorica era possibile immaginarlo, ma, poiché avvenuto in coda ad una serie di eventi di segno opposto, era diventato sostanzialmente imprevedibile. L’attacco alle Torri Gemelle rientra invece nel secondo caso.

Contrariamente ai militari un gestore di patrimoni non si occupa di eventi del genere “sconosciuto sconosciuto”, perché imprevedibili e quindi non gestibili.
Non si allarmino i miei clienti però: questa considerazione non ci impedisce di avere un atteggiamento generico di grande prudenza nei confronti delle ricchezze che amministriamo.

Se non è possibile dare certezze ai clienti, almeno diamo loro chiarezza.

Il lavoro del gestore di patrimoni è “solo” quello di fare previsioni sulla scorta dei dati disponibili e di agire di armonicamente con le indicazioni “a priori” ottenute dal cliente.

Non solo, occorre far capire che cercare di anticipare un evento “sconosciuto sconosciuto” il più delle volte non riesce, e quindi nel lungo periodo fa perdere denaro.


Ciò nonostante chi lo coglie si assicura grande celebrità, un classico caso in cui si fa pagare ad altri la propria pubblicità.

Fin dall’inizio il consulente deve mettere in chiaro che
gli effetti di certi eventi avversi non sono eliminabili e che il suo lavoro si limita all’ambito dello “sconosciuto conosciuto” e che la sua bravura sta nella regolazione dei rischi in funzione della capacità del cliente di sostenerli.

Concludo tornando rapidamente all’attualità. Credo che il salvataggio della Grecia sia una decisione politica per evitare uno “sconosciuto sconosciuto”.

Il default potrebbe rappresentare la "soluzione razionale" dell'economista classico, ma Leheman Brother è il caso recente più eclatante di come una decisione apparentemente sana “a tavolino” possa sfuggire di mano: il delicato equilibrio politico dei balcani e il rapporto tra Turchia e Grecia non consente manovre drastiche, specie in un momento di crisi economica come questo.

giovedì 11 febbraio 2010

Che dagli amici mi guardo io...

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
Avevo deciso di fare un post "informatico", nel quale spezzavo una lancia verso Ubuntu, una distribuzione di linux, che adopero da anni e che, secondo me, va almeno come Windows XP, anche se occorre un briciolo di cultura informatica in più per usarla.
Però è gratis.

Ma si sa, la vita ha più ironia degli uomini e ieri la chiavetta USB sulla quale avevo depositato il mio panegirico è morta portandosi dietro il mio lavoro.

Così oggi mi trovo a fare un post "al volo" e a meditare sull'ammonimento del Fato ad allungare l'Epsilon alll'informatica.


Meno male che di spunti in finanza ce ne sono tanti.

Due banche sono state recentemente sanzionate dalla Consob: una pur avendo a disposizione molti strumenti finanziari metteva in condizione i propri addetti alla clientela di offrire i propri prodotti "a prescindere dalle reali esigenze dei clienti"; l'altra invece dava "consulenze" in modo un po' leggero, come dire, senza prima aver "visitato" il paziente.

Però l'onore è salvo, in quanto, con modalità tipicamente italiane, i nomi delle banche non sono stati fatti.

La Consob si comporta verso i risparmiatori un po' come i camerati anziani del servizio militare quando dicevano: "stanotte dormi preoccupato".

Ma non basta: è notizia recente, sempre di fonte Consob che uno studio "sui prodotti strutturati emessi sul mercato tedesco e su quello svizzero a partire dal 2007, mostrano che solo un ristretto sottogruppo dei prodotti distribuiti è compatibile con la massimizzazione dell’utilità di un investitore le cui preferenze siano definite secondo i principi della teoria del prospetto (in particolare, avversione alle perdite e propensione al rischio a fronte di scenari negativi). La maggior parte dei prodotti, invece, oltre a non consentire la massimizzazione dell’utilità di un individuo che esibisca preferenze razionali, è compatibile solo con l’ipotesi che l’investitore sottostimi le probabilità degli scenari sfavorevoli in modo sistematico, non essendo in grado di comprendere la complicata struttura dei payoff.".

Ovvero non ci si capiva niente altrimenti i clienti non li avrebbero comperati.

Bei tempi quando mio padre mi diceva che per i suoi soldi lui aveva un amico in banca.

venerdì 5 febbraio 2010

La consapevolezza delle proprie esigenze

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
Avete mai chiesto un consiglio o una informazione in un ipermercato? Ci si imbatte abbastanza spesso in risposte differenti, palesi scemenze e quant’altro.

Tutte le volte che, imbestialito da tali incongruenze, mi chiedo perché sono lì mi rispondo che soddisfo la mia esigenza con costi ridotti rispetto ad un negozio.

La situazione che ho appena rappresentato è una stilizzazione; occorrerebbero molti distinguo sia sui tentativi da parte della GDO di offrire un livello accettabile di consulenza, sia sul fatto che le scelte effettuate dal cliente nei negozi specializzati possano essere paragonate a quelle eseguite in autonomia.



Il punto che intendo sottolineare è che nel processo decisionale occorre riflettere accuratamente sulle proprie esigenze e sulle proprie risorse.

Vi propongo quindi un brevissimo viaggio per sondare le vostre esigenze nel campo della consulenza finanziaria.

Il test è elementare e si basa su due domande.






Possiamo adesso delineare una mappa della realtà divisa in 4 quadranti.
Per ogni quadrante emerge un bisogno differente.




L’interpretazione è quasi ovvia:

Se si ha alta disponibilità di tempo ma non si dispone di informazioni (alta necessità di informazioni) è necessario un tutor, un “consulente” provider di informazioni di pregio che possa fornirle nella maniera più adeguata alle vostre specifiche esigenze.

Se si ritiene di avere alta disponibilità di tempo e di conoscenze un fornitore è più che adeguato: il suo ruolo sarà quello di offrire una commodity. Un prodotto che voi conoscete bene al prezzo minore possibile. Tipicamente negli investimenti questa area è coperta dai trading on line.

Se si ha una bassa disponibilità di tempo ma si hanno le idee chiare su come investire un buon esecutore è una manna ed anche una vera rarità; infatti a meno che non si tratti di banalità, non è facile trovare servizi di livello.

Se si ha bassa disponibilità di tempo e non si dispone di informazioni occorre un consulente nel senso più ampio del termine, che aiuti ad effettuare il riconoscimento delle proprie esigenze e poi a risolverle.

Qui troverete una breve guida alla scelta del consulente finanziario.

Concludo con una provocazione: è proprio necessario che i clienti facciano questa analisi? Non dovrebbe esserlo: quando ci si approccia ad un consulente dovrebbe essere lui a prendervi le misure e a segnalarvele.

A voi è già capitato?