giovedì 28 maggio 2009

Chiavi e serrature

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

Avere una mappa - quando si viaggia in un territorio sconosciuto - è di importanza vitale. Se poi si tratta di un viaggio nell'animo umano la mappa è ancora più utile, poiché (come ricorda il proverbio russo "gli uomini non sono montagne") la vita è fatta di relazioni.

Già dall'antichità i filosofi greci avevano cercato di individuare quali motivi spingono gli uomini ad agire. In seguito, nel secolo scorso, il lavoro è stato ripreso e strutturato dai teorici dell'educazione e dagli psicologi.

La frontiera di questa attività di ricerca è rappresentata dai risultati delle ricerche di S. Reiss dell'Università dell'Ohio.

Dopo un lungo lavoro di statistica psicologica ha individuato una serie di "motivazioni base" che - secondo la sua teoria - sono la mappa dell'animo umano: è possibile cioè spiegare i comportamenti individuali sulla scorta dei 16 fattori motivazionali da lui individuati.

Ovviamente non considero questa teoria un Santo Graal e quindi non mi attendo che magicamente spieghi tutto, ma mi è parso ragionevole esplorarla.

Secondo Reiss ognuno di noi ha quattro o cinque caratteristiche molto marcate in senso positivo o negativo che costituiscono l'ossatura della nostra personalità e che determinano la (in)compatibilità tra individui.

Ognuno di noi, con il proprio profilo è contemporaneamente sia una chiave che una serratura. E quindi, nell’universo delle relazioni, se si incontrano persone con strutture di personalità poco compatibili facilmente assisteremo a rapporti conflittuali.

Un esempio potrebbe essere rappresentato dal conflitto generato in una situazione non strutturata (ovvero dove non c'è una indicazione a priori su chi debba essere il capo) in cui si incontrano due persone con elevata propensione al potere. Il rischio di assistere ad una lotta non è piccolo.

Uno scettico potrebbe dire: “Molto bello per gli specialisti, ammesso che funzioni, ma cosa ha a che fare tutto questo nella vita di ogni giorno?”.

Direi moltissimo.

A livello personale, nell'ambito "ricerca della felicità" è opportuno che ciascuno di noi impari a conoscersi meglio per procacciarsi quei ruoli, siano essi posti di lavoro o compagni, compatibili con il nostro modo di essere.

Mi sono per esempio spiegato perché mia moglie ed io entriamo in contrasto su questioni triviali come l'ordine della camera di nostro figlio (desiderio di ordine); e perché alla fine della discussione sull’argomento precedente lei in genere si accoda al mio parere (desiderio di potere; desiderio di tranquillità, e non – come lei asserisce - la sua santità).

Non solo, quando abbiamo a che fare con una persona poco conosciuta, saper guardare nelle giuste direzioni per capire i suoi comportamenti potrebbe essere una risorsa notevolissima.

Con questo metodo si potrebbe rivedere il giudizio su un comportamento “inspiegabile” o ipotizzare un certo comportamento futuro.

A livello aziendale potrebbe essere molto interessante approfondire questa analisi: temo che ci si preoccupi troppo di di trovare un candidato adeguato alle necessità da un punto di vista tecnico, ma che non si considerino abbastanza le caratteristiche motivazionali dei candidati.

Si ha cioè una selezione casuale dal punto di vista motivazionale, col rischio di acquisire persone che, pur tecnicamente competenti, possono essere motivazionalmente inadatte e quindi soggette a pesanti impasses emotive. E' evidente che è molto antieconomico per una organizzazione avere un operatore frustrato piuttosto che uno soddisfatto.

Ringrazio infine il dottor Domenico Mustone, psicologo, che mi ispirato e consentito di saccheggiare il suo sito. Chi fosse interessato ad approfondire può googlare "Reiss Steven, Mustone".

giovedì 21 maggio 2009

La fine del capitalismo? (Parte seconda)

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

Dopo aver esplorato le cause filosofiche della crisi economica provo a delineare uno scenario futuro.

Premetto che farò riferimento alle nozioni di “destra” e “sinistra”, che intendo almeno in senso bobbiano del termine e che nulla hanno a che vedere con le attuali situazioni della politica italiana, che vede piuttosto posizioni di destra e sinistra all’interno di entrambi gli schieramenti. Ovvero che nessuno si sogni di dire che J.F. Kennedy era un comunista perché era di sinistra.


Ma tornando agli scenari…

In quello ottimistico, di “sinistra”, la Politica prende la direzione dell’Economia e la porta verso sentieri che prevedono uno sviluppo più rispettoso per l’ambiente e le risorse disponibili; dove i paesi occidentali, in partnership col resto del mondo, non useranno il proprio predominio tecnologico, politico e militare come una clava per resistere allo scivolamento verso oriente del baricentro economico e politico. Ovvero non si comporteranno come i Bush hanno cercato di fare.

Ma ciò non basterà, dall’altra parte i paesi emergenti non dovranno cadere in derive massimaliste come l’integralismo islamico o il nazionalismo russo.

A queste condizioni nei prossimi secoli l’Occidente non diventerà marginale, a differenza di quanto è capitato all’Olanda prima e successivamente all’Inghilterra, dopo la scoperta dell’America.

Il prezzo da pagare per evitare il nostro viale del tramonto è la condivisione delle risorse con il resto del mondo; una apertura al nuovo (pur mantenendo la nostra identità) e l’accettazione di una diminuzione del tenore di vita, richiesto dalla condivisione tra tutti di energia e materie prime.

Ma viste le recenti difficoltà nel trovare un accordo per il commercio mondiale (WTO, Dhoa Round…) non mi sento per nulla confortato nel credere che questo scenario sia probabile.

Uno scenario pessimistico, ma non estremo, di “destra” vedrebbe invece l’inerzia dell’Occidente teso a non voler affrontare la questione. L’allocazione delle risorse mondiali avverrebbe tramite meccanismi di mercato (l’aumento dei prezzi) e confronti regionali a livello politico, economico e talvolta militare.

Il vantaggio, per la classe dirigente occidentale, nell’adottare una tattica attendista, deriverebbe dal fatto che è più facile spiegare agli elettori che i consumi vanno ridotti perché i prezzi salgono per colpa degli “stranieri”, senza vagheggiare un poco comprensibile disegno politico di equità mondiale.

Inoltre, una totale erosione delle posizioni di vantaggio acquisite dall’Occidente avverrà in molto tempo e quindi molte classi politiche si avvicenderanno senza la necessità di affrontare IL PROBLEMA e quindi presentarsi con un programma elettorale che imponga tagli allo stile di vita degli elettori.

Infine uno scenario pessimistico estremo.

Si potrebbe immaginare di uno stato di tensione tra blocchi di Stati che si aggregheranno in base alle contingenze del momento, senza sfociare mai in una guerra totale. Si arriverà cioè ad un uso sconsiderato ed irrazionale delle risorse disponibili fino alla loro consunzione.

In questo caso faremo la fine degli abitanti dell’Isola di Pasqua, che si estinsero, vittime dell’incapacità di modificare i propri atteggiamenti.

giovedì 14 maggio 2009

La fine del capitalismo? (Parte prima)

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

Come per tutte le vicende umane, è possibile dare a questi recenti avvenimenti una infinità di interpretazioni, anche politiche.

L’estrema sinistra proclama che questi sono gli inequivocabili sintomi del crollo del capitalismo come previsto dai “sacri testi” mentre l’estrema destra teorizza - con i neocon antiglobal - l’erezione di nuovi steccati per difendere il benessere conquistato dall’Occidente.

Sostengo oggi che nel futuro l’Economia dipenderà maggiormente dalla Politica, senza tuttavia arrivare al comunismo, in base a due constatazioni.

1) I gruppi politicamente dominanti tendono a non voler cedere potere, anche a costo di creare inefficienze economiche, ambientali e sociali. Questo fenomeno, sul quale esiste ampia letteratura, è stato messo in grande evidenza dal crollo dell’URSS, ma non solo.

2) Una crisi si verifica quando un modello di sviluppo raggiunge il proprio limite.

Mentre trovo che sia evidente il nesso tra la crisi e il primo punto, credo di dovermi dilungare maggiormente sul secondo.

Qual è il limite più evidente messo in luce dalla recente crisi?

Credo che la risposta possa essere: “l’uso di artifici finanziari sofisticatissimi per creare nuova ricchezza, anziché procedere per la via maestra dell’economia classica”.

E’ possibile cioè immaginare un tempo passato in cui l’establishment economico occidentale si sia accorto che il sentiero di sviluppo prospettato per via naturale non era più soddisfacente e che se non si fosse fatto qualcosa di nuovo si sarebbe ceduto il testimone dello sviluppo (ecco il secondo punto).

Quindi per mantenere il predominio politico economico si è stabilito - nella massima libertà che caratterizza l’imprenditore - che era indispensabile inventare strade nuove, anche rischiose (ecco il primo punto).

La cecità agli effetti collaterali di queste soluzioni è stata determinata più un fatto culturale che da un disegno consapevole: infatti se nel settecento - periodo in cui l’ideologia liberista è stata concepita - si poteva considerare l’impresa come un elemento ininfluente per l’ambiente, la finanza come una curiosa appendice del mondo produttivo e si potevano considerare illimitate le risorse naturali, oggi questo non è più vero. Tuttavia la formazione delle classi dirigenti resta comunque parcellizzata e filosoficamente arretrata.

Questa crisi mostra allora un limite “naturale” del modello di sviluppo capitalistico, il che non vuol per nulla dire che siamo prossimi al comunismo.

La buona notizia è che dopo aver tentato di percorrere la via più corta per risolvere il problema della crescita, cercando di mettere lo sporco sotto il tappeto, adesso - che abbiamo una ulteriore riprova che l’ecosistema non è limitato all’ambiente fisico - sappiamo che ogni decisione ha un costo, la cui valutazione non è più solo di tipo strettamente microeconomico, ma richiede valutazioni “politiche”.

La cattiva notizia è che i politici sono quello che sono…

Quali scenari prevedo per il futuro costituiranno la seconda parte del post, la prossima settimana.

giovedì 7 maggio 2009

Bolle e specchietti retovisori

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

La psicologia insegna che lo stress altera i processi decisionali, inducendo a sopravvalutare gli stimoli fino ad allora ignorati.

Questa osservazione ha un impatto sui mercati finanziari?

Immaginiamo due schiere di investitori i cui orientamenti siano mutuati da Rousseau e da Hobbes.

Il primo gruppo crede che nel lungo periodo gli investimenti azionari siano destinati a crescere “naturalmente” e quindi sono convinti che per guadagnare basti comperare e tenere; il secondo ritiene invece che gli investimenti azionari siano uno sperpero di risorse e quindi, se proprio si deve operare in azioni, occorra vendere piuttosto che comperare.

I dati delle serie storiche - insufficienti - non smentiscono in modo definitivo né l’una né l’altra visione, esattamente come succede nel dibattito sulla natura intrinseca dell’uomo.

Periodicamente entrambi gli schieramenti sono affetti da grande esaltazione o da grande depressione, poiché al culmine di un movimento dei mercati un gruppo sarà in piena depressione o per le perdite o per i mancati guadagni, e viceversa l’altro.

In quei momenti i perdenti, potranno modificare repentinamente opinione, a causa dello stress, ed andranno ad ingrossare le file dei vincitori (o almeno abbandoneranno la schiera dei perdenti).

Inutile dire che uno spostamento tardivo è nella migliore delle ipotesi poco benefico. Utile invece è sottolineare come questa dinamica offra una spiegazione delle “bolle speculative” sia positive sia negative (sia grandi, sia piccole) che si osservano al termine di un movimento direzionale dei mercati.

Nel tempo è dunque è possibile osservare sul mercato gruppi di investitori che, applicando una sola strategia, saranno “vincenti” pro tempore, accumulando fortune effimere e che, terminata la fase di mercato favorevole, verranno spazzati via.

Quale conclusione è possibile trarre da questi ragionamenti?

Investire guardando al passato, come aveva fatto l’agnello del post recente , offre svariati vantaggi ed una sola controindicazione: tra i primi annoveriamo la rassicurazione dell’appartenenza ad un gruppo, la semplicità emotiva ed intellettuale. Lo svantaggio è invece costituito dal rischio di estinzione.

Tuttavia occorre osservare che - nel mondo occidentale - l’estinzione non è quasi mai fisica, ma piuttosto economica e sociale, e forse per questo, la percezione del pericolo non è sempre così nitida.

mercoledì 6 maggio 2009

Sul progetto di scudo fiscale

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM
Dal Sole 24 ore di oggi 6 maggio 2009

Inversione dell'onere della prova per chi detenga capitali nei paradisi fiscali.
Inasprimento delle sanzioni.
...
Compilazione di una lista nera italiana dei centri off-shore non cooperativi....
....

Accantonato, allora, in Italia il progetto dello scudo fiscale per inseguire la politica del giro di vite? Non sembrerebbe. «Nessuna decisione è stata ancora presa » ha precisato il ministro dell'Economia. Ribadendo la sua posizione sullo scudo: una volta sanata l'evasione,«i capitali vanno rimpatriati e ognuno è libero di investirli dove vuole, tenendo conto che se rientrano è un bene per la ricchezza e l'occupazione nel paese ».

L'Italia sta lavorando per tagliare l'erba sotto i piedi dei fortini segreti.
Come stanno facendo Germania, Francia e Gran Bretagna. Come sta facendo anche l'America di Barak ...