giovedì 14 maggio 2009

La fine del capitalismo? (Parte prima)

, Cellino Associati SIM, Cellino e Associati SIM

Come per tutte le vicende umane, è possibile dare a questi recenti avvenimenti una infinità di interpretazioni, anche politiche.

L’estrema sinistra proclama che questi sono gli inequivocabili sintomi del crollo del capitalismo come previsto dai “sacri testi” mentre l’estrema destra teorizza - con i neocon antiglobal - l’erezione di nuovi steccati per difendere il benessere conquistato dall’Occidente.

Sostengo oggi che nel futuro l’Economia dipenderà maggiormente dalla Politica, senza tuttavia arrivare al comunismo, in base a due constatazioni.

1) I gruppi politicamente dominanti tendono a non voler cedere potere, anche a costo di creare inefficienze economiche, ambientali e sociali. Questo fenomeno, sul quale esiste ampia letteratura, è stato messo in grande evidenza dal crollo dell’URSS, ma non solo.

2) Una crisi si verifica quando un modello di sviluppo raggiunge il proprio limite.

Mentre trovo che sia evidente il nesso tra la crisi e il primo punto, credo di dovermi dilungare maggiormente sul secondo.

Qual è il limite più evidente messo in luce dalla recente crisi?

Credo che la risposta possa essere: “l’uso di artifici finanziari sofisticatissimi per creare nuova ricchezza, anziché procedere per la via maestra dell’economia classica”.

E’ possibile cioè immaginare un tempo passato in cui l’establishment economico occidentale si sia accorto che il sentiero di sviluppo prospettato per via naturale non era più soddisfacente e che se non si fosse fatto qualcosa di nuovo si sarebbe ceduto il testimone dello sviluppo (ecco il secondo punto).

Quindi per mantenere il predominio politico economico si è stabilito - nella massima libertà che caratterizza l’imprenditore - che era indispensabile inventare strade nuove, anche rischiose (ecco il primo punto).

La cecità agli effetti collaterali di queste soluzioni è stata determinata più un fatto culturale che da un disegno consapevole: infatti se nel settecento - periodo in cui l’ideologia liberista è stata concepita - si poteva considerare l’impresa come un elemento ininfluente per l’ambiente, la finanza come una curiosa appendice del mondo produttivo e si potevano considerare illimitate le risorse naturali, oggi questo non è più vero. Tuttavia la formazione delle classi dirigenti resta comunque parcellizzata e filosoficamente arretrata.

Questa crisi mostra allora un limite “naturale” del modello di sviluppo capitalistico, il che non vuol per nulla dire che siamo prossimi al comunismo.

La buona notizia è che dopo aver tentato di percorrere la via più corta per risolvere il problema della crescita, cercando di mettere lo sporco sotto il tappeto, adesso - che abbiamo una ulteriore riprova che l’ecosistema non è limitato all’ambiente fisico - sappiamo che ogni decisione ha un costo, la cui valutazione non è più solo di tipo strettamente microeconomico, ma richiede valutazioni “politiche”.

La cattiva notizia è che i politici sono quello che sono…

Quali scenari prevedo per il futuro costituiranno la seconda parte del post, la prossima settimana.

1 commento:

Guido Giaume ha detto...

Sono veramente insoddisfatto del modo come ho condensato il mio pensiero. Se avete tempo e voglia cercate di aiutarmi a chiarire i punti oscuri.