giovedì 30 ottobre 2008

Ho visto hedge fund in fiamme al largo dei Bastioni di Orione...


Mi pare opportuno aprire questo post parafrasando le ultime parole del coprotagonista di Blade Runner; infatti altri androidi, questa volta finanziari, stanno per seguire la sua stessa sorte.

Tutti abbiamo sotto gli occhi la vertiginosa discesa dei mercati e sentiamo dire che i fondi hedge probabilmente verranno ridimensionati e messi sotto controllo da parte dei governi.

Però potrebbe non essere chiaro a tutti quale sia il legame tra (certi) hedge fund ed i recenti violenti movimenti dei mercati.

Come lavora un fondo hedge? Semplificando al massimo potremmo dire che - se riceve da un investitore 100 euro - compera azioni. Poi si rivolge ad una banca e chiede un prestito lasciando in garanzia le azioni comperate precedentemente. Coi soldi ricevuti in prestito compera altre azioni che (di nuovo) rilascia in garanzia ad una banca che a sua volta gli concede un ulteriore prestito. E così via.

E' comprensibile allora come un modesto movimento del mercato possa portare a forti oscillazioni del patrimonio gestito.

Con l'avvento della crisi detta "dei titoli subprime", cioè da circa un anno e mezzo, le banche non si prestavano volentieri denaro tra di loro, per paura che il fallimento della controparte - cui era stato concesso il denaro - avrebbe causato anche il fallimento del concedente.

Da metà settembre la crisi si è aggravata ulteriormente e le banche hanno ulteriormente diminuito il flusso di prestiti reciproci e in più hanno iniziato a chiedere ai clienti il rientro dai fidi.

Tra questi c'erano gli hedge fund.
E' facile capire che il rientro dal fido - per un fondo hedge pesantemente investito in un mercato avverso - sia una tragedia, poichè le alternative sono vendere a qualunque prezzo montagne di titoli, o fallire.

A questo aggiungiamo che i sottoscrittori, cioè le persone che avevano investito nel fondo, stanno contemporaneamente premendo per riavere i propri soldi e che gli aiuti statali non sono stati estesi a queste istituzioni poichè i Governi mal sopportano la loro esistenza, a causa delle strategie procicliche implementate dai gestori.

Ora il quadro è completo: in una situazione finanziaria già critica alcune grandi istituzioni hanno dovuto vendere a qualunque prezzo per rimborsare banche e sottoscrittori, deprimendo il mercato oltre ogni ragionevolezza.

Un esempio eclatante delle pressioni cui il mercato finanziario è stato sottoposto, anche tramite le dinamiche descritte, è stato l'andamento del titolo Wolksvagen. Recentemente sono state registrate oscillazioni dei prezzi del titolo dell'ordine di molte decine di punti percentuali al giorno e la capitalizzazione di borsa della società ha superato in alcuni momenti la somma delle restanti industrie automobilistiche del mondo.

Abbiamo assistito (per i pessimisti stiamo ancora assistendo) tanto per concludere prendendo ancora spunto dal cinema, alla "tempesta perfetta".

giovedì 23 ottobre 2008

Narciso ed il signor Bonaventura

Alcuni giorni or sono un mio stimato cliente disse: “un amico molto facoltoso è giunto alla conclusione che per investire in azioni conviene comperare, diversificare e tenere senza affidarsi ad alcun consulente. Lei cosa ne pensa?”
La domanda era evidentemente provocatoria, ma non aggressiva. Mi accingo dunque a rifletterci con altrettanto fair play.

Come dice anche Nassim Taleb la massa delle situazioni si risolve da sola: spesso si guarisce spontaneamente dalle malattie ed è possibile scalare alte montagne e ritornare indenni a casa, anche senza l’aiuto di una guida alpina.

E’ nella natura umana non percepire oggettivamente un rischio: basta scorrere un annuario statistico per avvedersene. E il rischio peggiore poi è quello di non distinguere la bravura dal caso.

Dunque le intuizioni del signor Bonaventura, “diversifica” e “compra e tieni” sono senza dubbio il viatico per fare bene. Oggi soprattutto il “tieni” non è per nulla facile da praticare.
Nella società del “tutto e subito” si paga volentieri per fare in fretta quello che una volta si faceva lentamente, così, in America Latina, è permesso produrre vino barricato mettendo in infusione i trucioli nelle autoclavi piuttosto che invecchiarlo nelle botti.

“Tenere” quindi è andare controcorrente. Vuol dire convivere serenamente con la propria scelta, come si fa con un partner. Se si “tiene” è perché si stima, malgrado i difetti che sono inevitabili e nonostante le mode. Si “tiene” ciò a cui si riconosce un valore, che è altro rispetto al prezzo. Non a caso si dice “tengo a te”.

Ma nella frenesia odierna molti clienti si attendono in qualche modo gli “effetti speciali” e molti consulenti si sentono in qualche modo “obbligati” a produrli.
Nessuno stupore allora che alcuni banchieri abbiano deciso di fare un “trattamento al botulino” anche ai portafogli titoli delle istituzioni da loro governate.

Ma se la saggezza del tenere e del diversificare è alla base dell’arte di investire, padroneggiare la tecnica, avere cioè una esperienza adeguata, è indispensabile per migliorare un risultato.

E’ lapalissiano che una persona che non abbia criteri decisionali saldi per selezionare un consulente possa fare mediamente meglio da sola, con due regole semplici, piuttosto che affidarsi ad un cattivo consulente. Come è altrettanto evidente che è meglio aspettare di guarire da soli piuttosto che affidarsi ad un cattivo medico.

Tuttavia essere assistiti nella selezione degli investimenti, avere una controparte con cui discutere sulla ragionevolezza - in certi momenti - di un alleggerimento o di un incremento della propria posizione, finisce col ridurre l’alea e quindi fa guadagnare meglio, e probabilmente anche di più.

Ancora una volta la psicologia fa irruzione nel campo degli investimenti: il nostro narcisismo ci fa desiderare una soluzione concreta ed immediata al problema che noi avvertiamo come urgente piuttosto che desiderare di verificare se non sia invece un aspetto particolare di una problema più generale.
E si spende la vita a gestire la contingenza.

giovedì 16 ottobre 2008

Sisifo ed i recenti crolli borsistici


Già gli antichi greci costruendo la mitologia avevano in qualche modo preso atto dell’esistenza delle nevrosi: una pletora di personaggi mitologici sono personificazioni di atteggiamenti nevrotici, e Sisifo mi pare il più adatto alla nostra dissertazione odierna.

In questi giorni i mercati finanziari hanno bruciato una ricchezza impressionate:
si può provare a spiegare tutto questo in termini psicologici?
Ci si può spiegare perché queste crisi sono ricorrenti?

Per abbozzare una risposta occorre impadronirsi di alcuni concetti di psicologia.

Quello che definiamo “realtà” è invece una mappa, frutto di una interpretazione dei segnali che ci giungono dall’esterno. Noi non vediamo la realtà così come è ma vediamo l’interpretazione che ci siamo costruiti di essa.
L’affermazione non è banale poiché, se crediamo senza verifiche al modello della realtà che abbiamo costruito, potremmo arrivare a pensare di essere obbligati a compiere certe azioni che sono, invece, facoltative.

La mappa si inizia a disegnarla da bambini e naturalmente i genitori e la società ci forniscono gli strumenti per farlo. Acquisendoli acriticamente erediteremo pure i loro errori cognitivi.
In questo senso è tragicamente vero che le colpe dei padri ricadono sui figli.

Possiamo adesso definire intuitivamente la nevrosi come una distorsione tra la mappa che ci siamo costruiti e la realtà, specie se l’alterazione è tale da creare sofferenza.

La nevrosi è problematica poiché non appare alla coscienza e tuttavia influisce sulle nostre azioni. Non solo, per la definizione data è anche una chiave di lettura del mondo e quindi obbliga a ripetere inconsapevolmente un certo comportamento al verificarsi di circostanze analoghe a quelle che lo hanno generato in precedenza.

Un atteggiamento nevrotico tipico è quello della persona debole e mite che, inserita in un gruppo, finisce con il primeggiare negli atteggiamenti (disdicevoli) che vengono ritenuti adeguati all’interno della sua compagnia.

Quindi una persona apparentemente libera di scegliere imboccherà immancabilmente sempre la stessa via, senza che se ne possa avvedere e modificare il proprio comportamento.

Per abbozzare dunque una risposta alla prima domanda posta occorre osservare che i crolli dell’ultima settimana sono stati un fenomeno differente rispetto ad un prudente defilarsi dagli investimenti a rischio: è subentrato il panico. Esattamente lo stesso tipo di sentimento che fece vittime allo stadio dell’Heysel.
Ma la differenza con le vittime della calca - che non potevano liberarsi fisicamente dalla trappola – è che in questo caso sarebbe bastato decidere di non vendere.
Ma qui subentra la nevrosi: chiunque abbia comperato con una decisione che non fosse profondamente meditata, cioè ha comperato per emulazione (come è avvenuto nella vicenda dei tulipani), si ritrova a vendere per lo stesso motivo e alimenta così il fenomeno di cui è vittima.

Circa il secondo interrogativo – sulla incapacità di apprendere dalla storia passata - possiamo affermare che, anche se una persona crede di aver tratto esperienza dalla disavventura precedente, facilmente replicherà il comportamento passato, sempre grazie a questa struttura nevrotica.

Così nei momenti di depressione economica - che sono ciclici - vi saranno sempre persone (o i loro figli) che si comporteranno in modo da alimentare il fenomeno di cui poi saranno vittime.

Il denaro è un oggetto altamente simbolico, rappresenta per ognuno di noi desideri e pulsioni molto differenti, rispecchia le ambizioni più disparate e quindi ben si presta ad essere un cavallo di Troia per le nostre nevrosi. E così sotto l’apparente aspetto di un investimento si celano in realtà tutte le passioni dell’animo umano. E un innocuo investimento, se non disciplinato, si trasforma in un demonio devastante.

Ecco allora che diventa più evidente l’importanza di discutere di investimenti, con un amico, con il partner, o al limite con un professionista, per comprendere quali siano gli aspetti personali dell’investimento, prima ancora di esplorare quelli tecnici.

giovedì 9 ottobre 2008

Totò, l’evidenza del tasso variabile e i tulipani


Anni fa ero rimasto molto colpito dalla scena di un film nella quale Totò si faceva beffe di un ufficiale delle SS. Durante la visione pensavo: “Il film è stato prodotto negli anni 50, come è possibile che riescano a fare dello spirito su questo argomento, avendo sperimentato in prima persona ciò che è stato?”.

Mi ero poi risposto che, analogamente a quanto succede ai feriti gravi, il trauma era stato talmente violento che “a caldo” era possibile rivisitare l’orrore senza emozioni.

La stessa sensazione di disagio l’ho riprovata alcuni giorni or sono, ascoltando su Radio Rai un programma di varietà nel quale si cercava il “debitore 0”: il primo italiano che sarebbe fallito per colpa della crisi economica.

Una serie di persone telefonavano sciorinando le proprie disgrazie. I fili rossi che univano i racconti erano: la sostanziale indifferenza apparente con la quale si denunciava il proprio dissesto e il fatto che una delle cause principali fosse l’innalzamento delle rate del mutuo (a tasso variabile) di almeno il 25% della rata iniziale.

Gli sfortunati ammettevano inoltre di aver ricevuto – al tempo della stipula – indicazioni univoche a favore del mutuo a tasso variabile, anche da amici direttori di banca.

Nel 2004 era cioè evidente a tutti che conveniva solo un mutuo a tasso variabile.

In Olanda nel 1635 – 37 in seguito alla famosa “mania dei tulipani” con pochi bulbi si poteva comperare una bella fattoria; in ogni sperduto paesino c’era un mercato dedicato dove i bulbi erano venduti vorticosamente a prezzi sempre crescenti e a cifre equivalenti a decine di migliaia di euro di oggi.

Era evidente a tutti quanto fossero preziosi i bulbi.

Mentre scrivo mi viene in mente l’epopea di Tiscali.

Non sono certo il primo ad affermarlo, ma quando è evidente a tutti ciò che si deve o non si deve fare - e i giornali titolano, e i non addetti ai lavori argomentano come se fossero dei guru - probabilmente è il momento di fare il contrario.

venerdì 3 ottobre 2008

La weltanschauung di Forrest Gump



1) “Il caso è lo pseudonimo di Dio, quando non vuole firmare” (A. France)

2) “Più si invecchia e più ci si convince che Sua sacra Maestà il Caso fa i tre quarti del lavoro in questo miserabile universo”. (Federico il Grande)

3) Non lo so... se abbiamo ognuno il suo
destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza... ma io credo, può darsi le due cose, forse le due cose capitano nello stesso momento. (Forrest Gump)

Gli aforismi precedenti descrivono le possibili visioni che l’uomo ha di se stesso e del suo contesto. Trovo che indagare su questo argomento sia interessante, poiché ha - inaspettatamente - anche risvolti sugli atteggiamenti di investimento.

Mi rendo conto che quanto mi accingo ad esporre possa essere molto controverso e sarò ben lieto di aprire un contraddittorio. Non è mia intenzione dare giudizi di valore su queste posizioni: le stilizzerò per rendere il più possibile chiaro il messaggio.


La prima posizione - “fideista” - non è esclusiva delle grandi religioni monoteiste, ma anche di molti movimenti esoterici e new age, nonché dei praticanti dell’I Ching. Chi si ritrova in tale convinzione crede di essere inserito in un meccanismo sensato e sebbene non lo si percepisca interamente, generalmente viene considerato benevolo.
Il comfort psicologico offerto è grande, poiché ci fa ritornare bambini; nello specifico di un investimento finanziario è di grande aiuto in caso di perdite, poiché aiutare a mitigare la severità del giudizio su sé stessi e sulle proprie scelte. All’estremo consente di dichiararsi vittima di disegni o macchinazioni di ordine superiore. La frase più celebre che sintetizza questo atteggiamento è: “Lo hanno fatto scendere (il mercato)”.

Il secondo convincimento vede la “fortuna imperatrix mundi”. Questa visione è particolarmente pesante per la psiche, poiché una delle attività prevalenti per l’uomo è la previsione del futuro. Non è un caso che da alcuni secoli vi siano persone che studiano scientificamente come dominare la casualità e che da alcuni millenni esistano persone che affermano di poterla dominare tramite apposite formule o rituali.
Da un punto di vista psicologico occorre avere una grande consapevolezza (o una grande presunzione) delle proprie capacità per poter accettare questa visione del mondo e chi la abbraccia, negli investimenti, diversifica il proprio portafoglio, accetta le perdite come parte del metodo di lavoro e nutre dubbi anche sulle previsioni fatte dal migliore degli esperti.

La posizione espressa nel delizioso Forrest Gump potrebbe essere interpretata in più modi: i greci antichi ritenevano che la volontà degli Dei e quella del Fato si intersecassero, ma faccio notare che, quando le Parche tagliavano il filo, non c’era appello e quindi il Fato in questa visione ha un ordine superiore rispetto alla volontà degli Dei.
Una differente interpretazione consiste nell’immaginare il mondo come si immagina - a volte - un mercato finanziario: esiste un movimento primario che (ex post) è abbastanza chiaramente visibile ma che viene celato all’osservazione puntuale a causa del forte rumore di fondo generato dalla moltitudine di attori.
Questa terza visione – utile per creare un modello previsionale per i mercati finanziari – non è una visione terza, originale, poiché ricade nella prima fattispecie: come sarebbe possibile dare una spiegazione dell’esistenza di un “disegno primario” senza chiamare in causa un Dio?
Mi pare quindi che il modello gumpiano del mondo serva solo per strizzare l’occhio alla platea degli estasiati spettatori.

Per dovere di completezza segnalo che anche secondo alcuni scienziati agnostici esiste un Principio Ordinatore e che il lavoro del ricercatore è scoprirlo. Insomma, il Dio degli scienziati è “solo” un po’ più distante ed astratto di quello dei fideisti.


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