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venerdì 15 aprile 2022

Borsa: Discese e salite. Stare fermi è sempre una buona idea?


Per vedere il video cliccate qui

In questo ultimo mese e mezzo abbiamo sperimentato una discesa vertiginosa dei mercati e molti  consulenti si sono spesi per far mantenere la calma ai clienti e restare sulle posizioni. 

Ma ci sono dei momenti nei quali ha senso stare fermi ed altri no. Oggi proviamo ad approfondire l’argomento.

sabato 1 marzo 2014

Il finto problema del conflitto di interessi ed il vero problema della consulenza


Buongiorno ai miei lettori.

Questo mese ho lavorato veramente molto, ma si sa, ogni tanto mi tocca, specie quando il mercato promette di fare scintille. Quindi riesco a scrivere solo adesso.

L'unica "distrazione" di febbraio è stata la partecipazione ad una discussione alquanto interessante che mi ha permesso di focalizzare un aspetto sul quale non avevo mai riflettuto a fondo.


La questione che mi sono posto è: i consulenti finanziari indipendenti affermano talvolta in modo quasi ossessivo di essere "meglio" dei promotori finanziari perché offrono una consulenza priva di conflitti di interesse. E spesso questo argomento è il loro cavallo di battaglia.

Ma è una affermazione vera? E ammesso che sia vera è sostanziale per il cliente?

La risposta che avrei dato un mese addietro sarebbe stata affermativa. Oggi faccio svariati "distinguo".

Ma cos'è il conflitto di interessi?

Da Wikipedia

... è una situazione che si verifica quando viene affidata un'alta responsabilità decisionale a un soggetto che abbia interessi personali o professionali in conflitto con l'imparzialità richiesta da tale responsabilità, che può venire meno visti tali interessi in causa.

Naturalmente il fatto che esista un conflitto di interessi non vuol dire che questo si concretizzi.


Il promotore finanziario / bancario è in conflitto di interessi con il cliente?

In senso letterale no, perchè la "responsabilità decisionale" resta in capo al cliente. Io conosco molti soggetti che sono estremamente consapevoli di questa loro responsabilità, ma ne conosco altrettanti che lo sono meno.

O come disse un mio cliente molto pragmatico: "Senta Giaume, lo so che deve fare il budget, quindi lei mi faccia guadagnare ed io la aiuto a farlo".

Vi riporterò al fondo del post la risposta che gli ho dato.


Tuttavia poichè lo spirito è forte e la carne è debole possono capitare (e capitano) situazioni in cui persone distratte, pigre o incompetenti possano essere fortemente influenzate da una persona che per qualche ragione ha su di loro una leadership.

Non c'è dubbio che le banche e le istituzioni finanziarie abbiano negli ultimi 20 anni approfittato pesantemente di questa situazione, nella quale sono passate da cassaforte della famiglia italiana a gestore del risparmio della famiglia.

C'è sempre la possibilità che i piani retributivi (dei PF) o i budget (dei bancari) siano opportunamente impostati in modo che questi siano molto invogliati a fare l'interesse della Società prima ancora che quello del cliente. E l'abbondanza di assicurazioni affibbiate alla clientela lo testimoniano. Ma lo testimoniano anche le obbligazioni Parmalat ed Argentina mollate ai clienti e la diffusione dei fondi di fondi. In genere questi oggetti offrono molti più vantaggi a chi li colloca rispetto a chi li compera.
Quindi dato per scontato che c'è conflitto di interesse tra banca e cliente (così come c'è tra macellaio e cliente) passiamo al punto della discussione.

Il consulente indipendente è privo di conflitti di interesse?

La risposta dei C.I. è: "Certamente, noi siamo professionisti, veniamo remunerati in base alla produzione intellettuale e non in base alla vendita. Quindi possiamo
consigliare il cliente di investire in quote di una società non quotata o di un immobile, o su una asset allocation fatta con ETF.".

I primi due consigli non ricadono nell'ambito della cosiddetta "riserva di legge": chiunque può consigliare un terzo a compiere tali operazioni e chiedere un compenso per questa attività. Anche un promotore potrebbe farlo; senza contare che non si può escludere a priori che l'oggetto del "suggerimento" non sia già nel portafoglio del proponente...

Il terzo punto ricade invece nell'attività riservata. Vuol dire che solo soggetti autorizzati possono permettersi di dire: "Questo insieme di valori mobiliari fa al tuo caso."

Il rischio tipico del "conflitto di interesse" che si corre con una banca o promotore è che i valori suggeriti (fondi /azioni /obbligazioni) non siano i migliori per il cliente ma quelli migliori (più redditizi) per il collocatore.

Ma oggi ci sono a disposizione contratti di consulenza che neutralizzano questi rischi. Al peggio se il cliente non vuole pagare la parcella di consulenza ci si può arrangiare scegliendo tra una vasta quantità di prodotti similari. Per esempio: abbiamo deciso di investire in Europa? Il PF (bancario) può proporre una moltitudine di fondi Europa di case differenti, la cui profittabilità per il PF è simile e selezionare il migliore tra quelli.

Per dare una regola spannometrica direi che forse il cliente dovrebbe essere molto più vigile quando gli vengono proposti contratti assicurativi con elevata componente finanziaria.


Il problema del consulente indipendente sono le economie di scala.
Il C.I. specie quello che vuole offrire molti differenti servizi ha bisogno di ricorrere a svariate piattaforme tecnologiche - che possono anche essere molto costose - e quindi è probabile che debba ricorrere all'acquisto di servizi di terzi (tipicamente venduti da una figura a cavallo tra l'associazione di categoria ed il provider di servizi).


Il risultato è che il consulente indipendente comperando tale know how diventa  un rivenditore, e a meno che non sia un genio, potrebbe addirittura fornire servizi dei quali non ha una conoscenza approfondita. Esattamente come fa un medico di base. Ma così rientra a pieno titolo nel conflitto dal quale voleva fuggire.

Fin qui i falsi problemi della consulenza.

I veri problemi a mio avviso sono altri.

Per la mia esperienza l'asset allocation del cliente viene fatta "a muzzo". Nel senso che la banca in genere offre alla rete dei PF tutti i report di tutte le case che distribuisce (in genere sono moltissime). Poi sta al PF decidere come sintetizzare la visione e come concretizzarla sul singolo cliente.

D'altra parte la banca ha un interesse molto preciso a non dare indicazioni forti in merito. In questo modo il portafoglio dei clienti dell'istituto sarà disposto gaussianamente minimizzando i rischi per l'Istituto.

Ci sarà cioè il cliente super scontento che se ne andrà lasciando QUELLO specifico promotore nei guai (ma non la banca) e ci sarà quello super contento che porterà altri soldi.
Mediamente per la banca andrà sempre bene.

Allora la domanda che andrebbe fatta a tutti è:
- dimostrami che hai i mezzi per darmi una visione coerente del mercato e tale da commisurare i rischi ai rendimenti.
- Dimostrami che hai il modo di misurare i risultati (sembra incredibile ma in genere le banche non offrono un servizio credibile di misurazione delle performances del portafoglio).
- Dimostrami che conosci il servizio di asset allocation che vendi, che sai cosa c'è dietro e magari dimostrami che funziona, che mi fa guadagnare.

E qui in genere inizia il difficile.



PS La risposta che ho dato al mio cliente è stata quella solita.
"Non ho budget di vendita; in linea di massima non vendiamo prodotti di terzi; ci poniamo accanto al cliente, sul mercato, per procurarci quello che serve.
Sono retribuito in base ad una percentuale complessiva del fatturato che genera; i costi effettivi cui lei è sottoposto sono chiaramente indicati nella prima pagina di ogni estratto conto e quindi può in ogni momento fare un raffronto tra il rendimento, il costo e la qualità del nostro servizio. Inoltre non abbiamo commissioni di ingresso, uscita o vincoli di permanenza, nè contrattuali nè de facto, come avviene invece quando si comperano certi titoli che all'emissione costano 100 e poi vanno a 90 al primo giorno di quotazione."



















mercoledì 5 giugno 2013

Il bambino di Piacenza morto in auto e... gli investimenti



Oggi mi addentro, con una certa rapidità, ma spero in modo non superficiale, nell'argomento di cronaca che mi ha colpito.


Non intendo dare un giudizio su questa o altre vicende simili, ma trovo stupefacente come passi inosservato il meccanismo psicologico che presiede questi fatti.

I lettori più attenti sanno che sono un sostenitore del "principio del piacere".

Il nostro cervello ci muove alla ricerca del proprio piacere.

E' importante capire che il piacere del nostro cervello è altra cosa rispetto al benessere / piacere del nostro corpo.

Diversamente non si spiegherebbero i kamikaze, i drogati, i giocatori compulsivi, gli alcolizzati i fumatori, i martiri e gli eroi, i praticanti degli sport estremi.

Cosa impedisce ad una persona di guardare in faccia la realtà? Il fatto che questa è dolorosa.


Così mutatis mutandis preferiamo baloccarci con l'illusione che il nostro "amico in banca" ci tratti come un amico, perchè in fondo gli affidiamo non i nostri soldi ma quello che per noi rappresentano: il futuro dei nostri figli, il nostro status sociale, la nostra vecchiaia serena...

Non so cosa sia capitato a quel disgraziato di un padre, al quale va tutta la mia solidarietà.
Un momento terribile al lavoro immagino.

E il cervello per evitare un sovraccarico ha staccato la spina sulla cosa "meno importante", meno minacciosa, meno incombente.

Naturalmente la nostra inconsapevolezza, il nostro narcisismo ci permettono di giudicare di dire "a me non potrebbe mai capitare".

Come se non avessimo anche noi un cervello in agguato pronto a fregarci...

Non è dunque un caso che l'apparato elettronico progettato apposta per salvaguardare i piccoli da queste situazioni non sia mai stato preso in considerazione dalle case automobilistiche, perchè le indagini di marketing dicono che non è richiesto dal mercato.

Richiederlo sarebbe una implicita ammissione di essere "genitori senza testa".

Troppo per il nostro ego.

Meglio un morto ogni tanto, tanto capita agli altri.


Tutto questo a molto a che fare con la gestione di patrimoni.

Mi ricordo perfettamente di una signora che nel 2000 ad 87 anni strillava perchè aveva troppe poche Tiscali nel suo portafoglio. Oggi fa sorridere ma allora ero un asino.

Per non parlare delle Parmalat o delle Argentina che i miei clienti non avevano in portafoglio.

Vita grama quella dei gestori che non si baloccano con i soldi altrui. Hanno sempre torto.
O perchè era evidente che le cose sarebbero andate bene o viceversa...




martedì 12 febbraio 2013

Come azzerare il valore del portafoglio obbligazionario


Una enunciazione atomistica della teoria delle catastrofi afferma che queste avvengono solo quando accadono congiuntamente condizioni straordinariamente negative.


Un esempio celeberrimo è l'inondazione olandese del 1953.  


In dicembre avevo scritto che uno dei possibili driver della prossima crisi bancaria italiana sarebbe stata legata ai prezzi degli immobili. Mi sbagliavo per difetto, sembra che la crisi immobiliare possa essere una preoccupazione anche per le banche europee.
 
Apprendo che - nel
sessantennale dell'inondazione summenzionata - una crisi bancaria causata da problemi immobiliari ha colpito la quarta o quinta banca olandese, la SNS.
  
A causa dell'eccessiva esposizione creditizia sugli immobili spagnoli e olandesi questo Istituto è entrato in crisi di liquidità ed è stato salvato dallo Stato con un intervento non inferiore ai 2.5 miliardi di euro, ovviamente a carico dei contribuenti olandesi.

I correntisti ed alcuni obbligazionisti sono stati salvati; gli azionisti e altri obbligazionisti sono stati abbandonati al loro destino.

Quali obbligazionisti hanno salvato il proprio capitale?

Quelli che avevano obbligazioni non subordinate.



Chi vuole capire cosa siano le obbligazioni subordinate può rileggere quanto ho scritto in occasione di una emissone recente dell'Unicredito
. Non voglio con questo fare parallelismi poiché allo stato attuale i bilanci di Unicredito appaiono solidi.


Le obbligazioni olandesi in questione sono poi trattate a blocchi minimi di 50.000 pezzi, e i controvalori quindi non sono esattamente popolari. E' dunque presumibile che tali titoli siano per lo più nelle mani di investitori istituzionali, che sanno come bilanciare e diversificare il rischio.

Pertanto credo che solo pochi incauti risparmiatori privati possano essere stati danneggiati da un possesso massivo di titoli subordinati della SNS.


Possiamo quindi concludere che azzerare il proprio portafoglio non è facile: occorre essere imprudenti e avere sfortuna.



In genere evitiamo gli atteggiamenti che riconosciamo come come imprudenti, ma naturalmente non possiamo evitare quelli che non riconosciamo come tali.

Analizziamo brevemente allora i due fattori e cerchiamo di identificare se pratichiamo senza riconoscerli atteggiamenti imprudenti.

Un colpo di sfortuna può capitare a tutti, l'alea "puntuale" sull'emittente è relativamente poco gestibile come dimostrano a volte le disavventure occorse a titoli considerati di alta qualità fino al giorno prima.

L'aspetto più gestibile è invece quello della prudenza, ovvero della diversificazione del rischio.


Tuttavia le cose non sono così semplici come si potrebbe immaginare. Non basta comperare pletore di titoli differenti per assicurarsi da tale rischio.

Esiste infatti un fenomeno chiamato "correlazione" che lega i titoli tra di loro, ed è quindi necessario tenerne conto.



Che fare quindi? 


Anzitutto evitare il "fai da te". 

Ma l'"amico in banca" può essere la persona giusta per difendere il proprio patrimonio?


Occorre valutare. Ricorderete che nei casi di Parmalat ed Argentina molti clienti al dettaglio furono spinti da impiegati più o meno inconsapevoli ad accollarsi i rischi che in origine erano stati assunti dalle banche. 

Non sempre l'"amico in banca" conosce i fatti o le tecniche necessarie e non sempre può consigliare liberamente.

Probabilmente è bene
rivolgersi a persone qualificate.
Se volete approfondire l'argomento vi segnalo questo documento liberamente scaricabile. 








sabato 18 dicembre 2010

Dalla conclusione(?) della vicenda Parmalat una previsione inquietante per gli italiani - 2

Le mie osservazioni a conclusione del post.

1) Probabilmente abbiamo assistito ad entrambe le tipologie di truffa che indico all'inizio: la Parmalat ha interpretato la fattispecie "difficoltà temporanea" e alcune banche per cavarsi d'impiccio probabilmente hanno montato "la stangata". La delusione della parte civile del processo è relativa al fatto che il Tribunale non ha fatto chiarezza su questa seconda parte, che resta pertanto solo una mia ipotesi.

2) Il sistema Italia non è in grado di difendere il risparmio. Chi si è fidato - sia gli impiegati di banca che hanno venduto in buona fede i titoli, sia i risparmiatori che hanno comperato autonomamente obbligazioni - erano da soli a scegliere, ed hanno scelto male.

3) Il conflitto di interesse tra banche e risparmiatori allo stato attuale è ancora elevatissimo e, se in genere si risolve con una tosatura periodica, in certe situazioni può portare alla rovina. Ciò nonostante la massa risparmiatori percepisce poco o nessun rischio.

4) Abbiamo visto in anticipo (ma non lo sapevamo) la crisi che stiamo vivendo anche oggi: quella del "troppo grande per fallire". Parmalat era troppo grande, dal punto di vista delle banche, che hanno cavalcato la tigre piuttosto che accettare la perdita come elemento naturale del business. E questo la dice lunga sulla salute della competizione economica e dell'efficienza dei mercati in Italia.

5) Madoff è stato condannato a 150 anni, Tanzi a 18. Curioso lo stupore di quest'ultimo a fronte della sua condanna: si attendeva meno. Per certi versi con il suo stupore non ha confessato di essere uno al quale avevano promesso qualcosa?

6) Mi pare infine che la soluzione principe della politica, dell'industria, delle banche italiane sia la soluzione dei problemi "scaricando a massa" ovvero frazionando il danno sui cittadini.

E su quest'ultima considerazione, ovvero sull'abitudine di "scaricare a massa" concludo con un inquietante presagio. Tremonti insiste sul fatto che l'Italia è solida poiché ha una enorme massa di patrimonio privato che bilancia il più grande debito pubblico del mondo. A me pare un pensiero foriero della volontà di utilizzare il patrimonio privato per ridurre il debito pubblico, ovvero l'introduzione di una tassa patrimoniale.

lunedì 13 dicembre 2010

Dalla conclusione(?) della vicenda Parmalat una previsione inquietante per gli italiani - 1

Consiglio anzitutto la rilettura del post
http://epsilon-intervallo-grande.blogspot.com/2009/03/anatomia-delle-truffe-finanziarie-1.html
dove avevo delineato in astratto le possibili fattispecie di una truffa finanziaria.


Sulla notizia che l'ex cavalier Tanzi è stato condannato a 18 anni per il fallimento della nota azienda alimentare, voglio proporvi la mia personalissima visione dei fatti per trarre poi alcune considerazioni ed una previsione.

Immagino che le prime difficoltà aziendali vennero superate con un incremento progressivo degli affidamenti bancari: chi fa l'imprenditore a certi livelli ha contiguità con la politica e quindi non è difficile immaginare che gli istituti di credito si siano prestati ad allargare i cordoni della borsa, un po' per ossequio alle pressioni ricevute e un po' per evitare di gestire una grana come una crisi di tali dimensioni.

Quando i problemi sono diventati insostenibili - ma evidenti solo agli addetti - la ricerca di tempo supplementare per cercare di sbrogliare la matassa è diventata la priorità comune sia per il management sia per le banche affidatarie: la falsificazione dei documenti contabili è stata la soluzione.

Interessante notare che negli ultimi anni l'equilibrio formale del bilancio Parmalat si reggeva sostanzialmente su una voce sola: uno smisurato attivo di conto corrente presso una banca americana. In quel tempo invariabilmente, a fronte delle richieste degli analisti finanziari, che spesso chiedevano al management la ragione di una tale liquidità, la risposta era evasiva.

E' molto importante rilevare inoltre che la società di revisione (ovvero l'organo esterno deputato al controllo della correttezza del bilancio) non ha MAI verificato DIRETTAMENTE presso la banca in questione l'esistenza di tale liquidità.

L'exit strategy per le banche era impegnativa: sostituire il proprio flusso finanziario con quello altrui. Tuttavia nessuna banca avrebbe accettato di entrare pesantemente tra i nuovi finanziatori di tale realtà.

Per ridurre gli affidamenti occorreva dunque "accompagnare" l'azienda sul mercato obbligazionario, e permetterle di approvvigionarsi della liquidità necessaria alla sopravvivenza. La cosa naturalmente non sfuggiva agli analisti finanziari che ripetutamente chiedevano per quale ragione l'azienda effettuasse emissioni obbligazionarie nonostante la forte liquidità già presente.

Interessante notare che il sistema bancario ha curato l'emissione dei prestiti ed il loro collocamento lucrando le relative commissioni. Non solo, molte emissioni obbligazionarie non erano di diritto italiano: i titoli non sono stati cioè emessi con le regole vigenti in Italia ed è almeno dubbio che potessero essere offerti al pubblico italiano. Tuttavia la Consob non è stata in grado di bloccare questo pericolo per i risparmiatori.


Infine la corda si è rotta e... l'epilogo è noto.


Alla prossima volta per le mie osservazioni