lunedì 28 aprile 2025

Investire con il dollaro debole

 

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Guarda il grafico. E’ evidente che è meglio l’azione blu! Ma cosa succede se riveliamo che si tratta della stessa azione?

Il colpo di scena è che l’unica differenza tra le due linee è la valuta in cui è espressa la performance: la linea blu rappresenta l’azione quotata in dollari, la rossa è la stessa azione, ma in euro. Un semplice passaggio dovuto al tasso di cambio. Eppure, questa differenza apparentemente tecnica racchiude implicazioni strategiche molto profonde per chi investe.

Perché la valuta conta?

Il grafico mostra in modo plastico un concetto spesso trascurato: la performance di un investimento dipende anche da dove si trova l’investitore e in quale valuta conta i suoi profitti. Un europeo che acquista un’azione americana subisce anche l’effetto del cambio euro-dollaro: se il dollaro si indebolisce, i suoi rendimenti si riducono, anche se l’azione in sé è salita.

Negli ultimi mesi il dollaro ha perso valore rispetto all’euro ed è lecito chiedersi: stiamo entrando in una nuova fase per la valuta americana?

Dalla nascita dell’euro a oggi: due riserve di valore

Quando nacque l’euro, i mercati lo accolsero con diffidenza. Ma nel tempo si è affermato come una delle principali valute di riserva globale, al pari del dollaro.

I gestori patrimoniali internazionali hanno iniziato a considerare entrambe le monete come strumenti equivalenti per conservare valore nel tempo.

Oggi, però, il contesto cambia. Se davvero l’era MAGA (Make America Great Again) dovesse consolidarsi, ci troviamo davanti a un disegno economico e politico che si discosta radicalmente dal liberalismo classico americano. 

Il nuovo paradigma: capitalismo politico

Il progetto economico trumpiano assomiglia sempre di più a un modello alla cinese, dove l’economia è subordinata alla politica.

Un esempio? La Cina fissa politicamente il cambio dello yuan. E Trump propone un’economia centrata sulla produzione interna, anche a costo di sacrificare efficienza e profitti.

Tra le sue promesse principali:

  • il rimpatrio della produzione industriale;
  • la creazione di posti di lavoro domestici per rafforzare identità e consenso politico;
  • dazi doganali per proteggere i produttori americani;
  • un dollaro debole, utile a rendere competitive le esportazioni USA;
  • e tassi d’interesse bassi anche sulle scadenze lunghe per finanziare gli investimenti industriali.

Tassi lunghi bassi: una lezione storica

Per rendere tutto questo sostenibile, servirebbero tassi d’interesse bassi sia a breve (guidati da una FED più compiacente) che a lungo termine (oggli liberi di fluttuare). Ma fissare politicamente i tassi può avere conseguenze pesanti.

C’è un precedente storico negli Stati Uniti: tra il 1942 e il 1951, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, il Tesoro impose un tetto ai tassi sui titoli di Stato a lungo termine. L’inflazione esplose fino a oltre il 20% e quando, nel 1951, si tornò a lasciare oscillare liberamente i tassi, l’inflazione calò, ma nel frattempo i detentori di obbligazioni – comprese le banche – subirono gravi perdite.

Questa storia insegna che contenere artificialmente i tassi può sembrare una buona idea nel breve termine, ma genera distorsioni e rischi nel lungo periodo.

Un mondo meno ricco e più instabile?

La politica trumpiana, se attuata, riduce l’efficienza globale. I dazi e la rilocalizzazione industriale (reshoring) riducono il commercio internazionale e comportano un uso subottimale dei fattori produttivi. Meno commercio significa, nel complesso, meno ricchezza.

Per chi gestisce patrimoni, questa prospettiva è una sfida. Una miscela di:

  • inflazione potenziale,
  • dollaro debole,
  • bassi rendimenti reali sugli investimenti,
  • asset finanziari americani potenzialmente sopravvalutati,

spinge a interrogarsi se il dollaro potrà ancora essere considerato una riserva sicura di valore nei prossimi decenni. E se, in generale, gli Stati Uniti continueranno a essere un porto così sicuro per gli investitori internazionali.

Infine non è possibile sottacere che un’altra conseguenza della strategia MAGA è la riduzione dell’integrazione economica globale. Ma minore interdipendenza economica significa anche maggiore rischio di conflitti armati.

Come abbiamo visto la semplice differenza tra una linea rossa e una blu su un grafico rivela molto più di una variazione di cambio.

Racconta di un mondo in trasformazione, dove le scelte politiche ridefiniscono i mercati e gli investimenti. L’era MAGA, se confermata, potrebbe cambiare profondamente il ruolo del dollaro e la stabilità finanziaria globale. Investitori e risparmiatori devono prepararsi a uno scenario in cui la politica incide sempre più sull’economia e sulle scelte patrimoniali. 

Investire con il dollaro debole: come proteggersi

Quando si investe in attività denominate in dollari, una svalutazione valutaria può erodere significativamente i rendimenti per un investitore che vive in un'altra area (come l’Eurozona). Ecco quindi alcune strategie concrete per mitigare questo rischio:

1. Diversificazione valutaria

  • Allocare parte del portafoglio in asset denominati in euro, franco svizzero, yen o altre valute forti.
  • Utilizzare ETF o fondi hedgiati (coperti dal rischio di cambio): molti strumenti finanziari permettono di esporsi a titoli USA o globali proteggendo l’investitore dai movimenti valutari attraverso la copertura del cambio.

2. Investire in beni reali

  • Oro e metalli preziosi: storicamente, l’oro ha una correlazione inversa con il dollaro. Quando il dollaro si indebolisce, l’oro tende a salire.
  • Immobili o fondi immobiliari (REITs) non USD: forniscono una copertura parziale contro l’erosione valutaria.

3. Obbligazioni indicizzate all’inflazione

  • Strumenti come i TIPS (Treasury Inflation-Protected Securities) negli Stati Uniti o le BTP Italia in Europa aiutano a preservare il potere d’acquisto in scenari inflazionistici causati, ad esempio, da politiche monetarie espansive associate a un dollaro debole.

4. Valutare strategie “value” e settoriali

  • Le imprese con ricavi globali e diversificati, in particolare nei settori difensivi (farmaceutico, beni di consumo primari), possono offrire maggiore resilienza rispetto a realtà domestiche statunitensi esposte ai costi interni.
  • Le aziende europee esportatrici, favorite da un dollaro debole, possono rappresentare un’interessante alternativa.

Un caso studio: due investitori, due mondi

Immaginiamo due investitori che a inizio 2024 abbiano acquistato la stessa azione americana, ipotizziamo Microsoft, a 370 USD.

  • Investitore A vive negli Stati Uniti. Per lui, ogni guadagno o perdita è direttamente in dollari.
  • Investitore B vive in Italia, usa l’euro come riferimento e non ha coperto il rischio cambio.

A fine 2024

  • L’azione Microsoft è salita del 13% circa in dollari (a 418 USD).
  • Il dollaro si sia apprezzato del 6% rispetto all’euro nello stesso periodo.

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Pur comprando lo stesso titolo, l’investitore europeo ha realizzato un rendimento maggiore di circa 6 punti percentuali, semplicemente a causa dell’effetto valuta.

Ma naturalmente può avvenire anche il contrario.

Conclusione operativa

In un contesto in cui il dollaro potrebbe continuare ad indebolirsi a causa delle politiche economiche (Trump o no), diventa essenziale:

  • Monitorare l’evoluzione geopolitica e monetaria americana;
  • Costruire portafogli più resilienti al rischio valutario;
  • Valutare attivamente se la fiducia nel dollaro come riserva di valore debba essere rivista.

Ecco quindi una idea base di asset allocation pensato per un investitore europeo che desidera proteggersi da un dollaro debole e da uno scenario MAGA-style, caratterizzato da:

  • politiche monetarie espansive (tassi bassi),
  • inflazione potenziale,
  • deglobalizzazione,
  • rischi geopolitici in aumento.

Questo modello mira a preservare il potere d’acquisto e ridurre l’esposizione a rischio cambio e a asset USA troppo dipendenti dalla forza del dollaro.

🧭 Obiettivo del portafoglio

  • Protezione dall’indebolimento del dollaro
  • Difesa dall’inflazione
  • Diversificazione valutaria e geopolitica
  • Sostenibilità dei rendimenti nel lungo periodo

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Note strategiche

1. Inflazione vs. tassi bassi

Se davvero si tornerà a un contesto simile a quello USA 1942–51 (con tassi fissati artificialmente), le obbligazioni a tasso fisso tradizionali potrebbero distruggere ricchezza. Meglio strumenti inflation-linked, come:

  • BTP Italia (indicizzati all’inflazione italiana),
  • OBBligazioni sovranazionali inflation-linked (via ETF globali, come quelli su TIPS coperti in euro).

2. Oro come assicurazione

In scenari di:

  • debolezza del dollaro,
  • instabilità geopolitica,
  • inflazione persistente

l’oro tende a sovraperformare. Un’esposizione del 10% è prudente ma significativa. L’uso di ETF fisici garantisce semplicità operativa e liquidità.

3. Azionario: meno USA, più export europeo

Molti portafogli sono storicamente "sovraesposti" agli USA. In uno scenario MAGA, è utile spostarsi su:

  • aziende europee esportatrici (es. industria tedesca, beni di lusso francesi),
  • titoli value meno legati a tassi zero e politiche monetarie.

L’aggiunta di ETF azionari globali hedgiati in euro permette di mantenere l’esposizione globale limitando il rischio cambio. 

4. Immobiliare globale e REITs

In un contesto inflattivo, gli immobili tendono a conservare valore. I REITs europei o mondiali hedgiati offrono:

  • reddito da affitto (protezione),
  • rivalutazione potenziale in caso di inflazione,
  • meno esposizione al sistema finanziario americano. 

5. Cash e strumenti a breve

In uno scenario incerto, la liquidità è potere. Non solo come riserva difensiva, ma anche per cogliere opportunità in caso di volatilità o correzioni. 

6. Alternatives

In piccola percentuale, includere asset alternativi può rafforzare la resilienza del portafoglio:

  • Infrastrutture (resilienti, legate al ciclo reale),
  • Private equity europeo (meno correlato),
  • Crypto per i più spericolati (non in ottica speculativa ma come "oro digitale" sperando finalmente in una bassa correlazione con i mercati tradizionali).

Questo modello non è un portafoglio rigido, ma una bussola. Si basa su un’ipotesi forte: che lo scenario post-2024 possa deviare drasticamente dal passato e che il dollaro smetta di essere una roccaforte indiscussa. In tal caso, gli investitori – soprattutto europei – dovranno navigare tra rischio valutario, ritorno dell’inflazione e nuove geometrie geopolitiche.