venerdì 13 settembre 2019

La liquidità degli investimenti, il pericolo sconosciuto


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Chi ha seguito la crisi del 2008 forse ricorda che la flessione del mercato azionario è stata una conseguenza della crisi di liquidità del mercato interbancario.


Fino a poco prima dell’estate 2008 le banche dell’oriente prestavano i soldi a quelle dell’occidente e viceversa, quando chiudevano per la notte.


Questo accordo permetteva di avere sempre molta liquidità. Ma con la crisi dei mutui subprime, in estrema sintesi, per paura dell’insolvenza delle controparti, le banche non si prestavano più il denaro tra di loro.


Quindi, per fronteggiare quella che fino al giorno precedente era stata la banale necessità di reperire fondi overnight, gli istituti hanno dovuto iniziare a vendere gli asset ancora vendibili sul solo mercato ancora funzionate, quello delle azioni, facendolo crollare.


Per i non addetti ai lavori la liquidità di un investimento è un fattore marginale. Si accetta comunemente che una casa possa essere venduta in un anno, ma non si accetta o capisce che un asset finanziario possa essere venduto in settimane o mesi. Eppure proprio come per gli altri beni, anche in finanza ci sono oggetti più o meno liquidi.

Recordati  ad es. è stata venduta dalla famiglia ad un prezzo significativamente minore di quello di mercato proprio per trattare l’acquisto del pacchetto di maggioranza.

La liquidità è un fenomeno paragonabile a quello torrentizio: ci sono momenti di grande abbondanza di controparti e altri nei quali scarseggiano. Questo è un fenomeno riscontrabile anche dalle persone meno addentro ai meccanismi finanziari, perché ad esempio, in agosto, anche sul mercato delle blu chips azionarie la liquidità diminuisce e quindi bastano relativamente pochi capitali per determinare significativi aumenti o riduzioni di prezzo.


Anche per le obbligazioni il discorso non cambia. I titoli di stato italiani e statunitensi sono certamente tra i più liquidi al mondo, mentre altri titoli potrebbero essere più problematici. E questo ha molto a che fare con gli investimenti delle persone comuni: se si compera un fondo che investe in titoli poco liquidi ed è quotato giornalmente, il gestore ha un problema non banale. 


Se compera titoli meno liquidi, anche se più redditizi, deve sperare che non ci siano riscatti significativi sul suo fondo, altrimenti sarà costretto a vendere anche i titoli illiquidi.

Ma se la liquidità è modesta e poiché è obbligato a vendere, dovrà sacrificare il prezzo. Ma poiché la normativa dei fondi comuni impone di valorizzare le quote non al valore intrinseco (come fanno i fondi assicurativi) ma al valore di mercato, la sua stessa azione potrebbe indurre ad una diminuzione artificiosa del valore della quota, che potrebbe indurre altri investitori ad uscire, creando così un effetto domino.


Le cause che possono portare ad una crisi di liquidità di un fondo sono molteplici e non sempre sono rappresentate chiaramente al sottoscrittore al momento dell’acquisto, anche perché non è detto che il proponente ne sia al corrente: capire il livello di liquidità di un fondo è un lavoro difficile, anche a causa del fatto che - come dicevo all’inizio - la liquidità è spesso variabile: quando va bene tutti sono disponibili a comperare. Quando le cose vanno male la domanda evapora e il panico è un pessimo consigliere.

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