martedì 17 settembre 2024

L’impatto del taglio dei tassi di interesse sugli investitori

Il taglio dei tassi di interesse ha effetti significativi sui vari tipi di investimenti. 

Per comprendere meglio il suo impatto possiamo suddividere gli investimenti in due categorie principali: 

    • quelli il cui valore può essere stimato attraverso l'attualizzazione dei flussi di reddito futuri 

    • quelli per cui tale operazione è impossibile.

Iniziamo con gli investimenti che hanno flussi di reddito futuri  

Un esempio classico sono gli immobili, obbligazioni e azioni, che producono reddito rispettivamente attraverso gli affitti, le cedole o i dividendi. 

Il loro valore può essere stimato attualizzando i flussi (stimati) di cassa futuri, ossia calcolando (scontando) il valore attuale dei flussi futuri utilizzando un tasso di interesse come fattore di sconto. 

E’ a questo punto evidente che una riduzione dei tassi di interesse comporta un aumento del valore attuale dei flussi futuri, aumentando quindi il valore complessivo del bene.

Tuttavia, l'impatto di un taglio dei tassi non è uniforme per tutti i tipi di investimenti. 

Ad esempio, le azioni "value" e "growth" rispondono in maniera diversa: le azioni "value", sono azioni di società con flussi di reddito più consistenti e ravvicinati nel tempo (come banche e assicurazioni) e proprio per questo sono meno sensibili ai movimenti dei tassi di interesse. 

Le azioni "growth", invece, sono società in forte espansione, che potrebbero non generare flussi di reddito a breve termine, ovvero i flussi di dividendi arriveranno molto più in là nel tempo e quindi la loro attualizzazione viene fortemente impattata dalle variazioni dei tassi di interesse. Non è un caso che nel decennio 2010 - 2020 grazie ad una condizione mondiale di tassi bassi, le azioni tecnologiche - che sono growth - siano state premiate. 

Similmente, le obbligazioni a lunga scadenza risentono maggiormente del calo dei tassi rispetto a quelle a breve termine. Quando i tassi scendono, il valore delle obbligazioni esistenti aumenta, poiché i nuovi titoli offerti sul mercato avranno rendimenti inferiori. E per gli immobili le dinamiche non sono dissimili. 

Passiamo adesso alla seconda categoria: investimenti senza flussi di reddito

Gli investimenti che non generano flussi di reddito diretti, come opere d'arte, metalli preziosi e materie prime, non possono essere valutati utilizzando il metodo dell'attualizzazione dei flussi di cassa futuri. 

Il loro valore è determinato da fattori soggettivi e dalle condizioni di mercato. Ad esempio, il valore delle opere d'arte dipende dalla reputazione dell'artista, dalla rarità del pezzo e dalle tendenze del mercato. 

I metalli preziosi come l'oro e le materie prime, invece, fungono spesso da beni rifugio e il loro valore può aumentare in periodi di incertezza geopolitica ed economica.

Un taglio dei tassi di interesse potrebbe influenzare questi asset in modo indiretto: la riduzione dei tassi può infatti stimolare l'attività economica, aumentando il reddito mondiale e aumentando quindi la domanda di beni di lusso e di asset alternativi. 

Tuttavia, occorre notare che un abbassamento dei tassi può essere percepito come un segnale negativo, che l'economia sta rallentando, il che potrebbe impattare negativamente sulle aspettative dei redditi futuri. 

mercoledì 11 settembre 2024

Il Piano di Draghi: Rilancio della Competitività Europea tra Debito e Dirigismo Economico


Il piano di rilancio proposto da Mario Draghi, che prevede investimenti annuali per 800 miliardi di euro, solleva questioni cruciali per il futuro dell'economia europea ma anche per il pensiero liberale. 

La perdita di competitività del continente è innegabile, come dimostrato dall'assenza di aziende europee leader in settori strategici a livello globale rispetto a trent'anni fa. 

Il piano di Draghi mira a colmare questo divario attraverso investimenti nell'innovazione, nella decarbonizzazione sostenibile e nella riduzione delle dipendenze da fornitori di materie prime e tecnologie strategiche. 

Ma questo approccio porta ad una riflessione su quale modello di allocazione delle risorse l'Europa stia effettivamente seguendo.

Il punto centrale (ma nascosto) della proposta Draghi riguarda l'evoluzione dell'allocazione delle risorse in una economia “occidentale”. 

Mentre il libero mercato ha storicamente guidato l'allocazione del capitale in molti paesi occidentali, il piano di Draghi sembra favorire una forma di dirigismo economico, in cui lo Stato assume un ruolo centrale nell'indirizzare gli investimenti verso settori considerati strategici. 

Questa tendenza, già osservata durante la pandemia, risponde a una necessità di protezione delle industrie strategiche domestiche in un contesto globale sempre più competitivo, dove potenze come gli Stati Uniti e la Cina adottano pratiche che possono essere viste come esempi di comportamento da "free rider". 

Draghi affronta finalmente il problema del “free riding”, proponendo una politica industriale attiva che tenta di contrastare l’asimmetria nella concorrenza globale.

Tuttavia, questo approccio solleva preoccupazioni sulla razionalità e l'efficienza dell'allocazione delle risorse. 

Se da un lato una politica industriale può essere giustificata in un contesto economico "unfair", come quello che caratterizza il commercio globale odierno, dall'altro rischia di introdurre distorsioni nel lungo periodo. 

L'intervento dello Stato ha storicamente favorito settori meno competitivi ed efficienti, che beneficiano del sostegno politico piuttosto che di una reale capacità di innovazione e crescita. 

Il rischio quindi è che la politica prenda il sopravvento sull'efficienza economica, con effetti deleteri sulla competitività complessiva dell'economia europea di lungo periodo.

In queste condizioni necessariamente la maggior parte dei fondi per il piano Draghi sarà raccolta attraverso il debito pubblico, con le legittime preoccupazioni che derivano sulla sostenibilità nel lungo termine. 

Se è vero che una maggiore crescita potrebbe rendere il debito più sostenibile, è altrettanto vero che non ci sono certezze su questo fronte e una parte dei paesi dell’UE non è propensa ad accettarne i rischi derivanti: un aumento incontrollato del debito potrebbe esporre l'Europa a crisi finanziarie future e alla svalutazione della valuta, con conseguenze negative per l'intera economia. 

Alla luce di queste considerazioni, è chiaro che il rilancio della competitività europea deve passare attraverso una maggiore presenza dello Stato nell'economia e la definizione di politiche industriali e tramite il ricorso al debito pubblico. 

Questo approccio sebbene si discosti dalla tradizione liberale classica rappresenta una sorta di "second best" paretiano, una soluzione che pur non essendo ottimale, è la migliore disponibile nelle attuali condizioni di mercato globale. 

La vera sfida sarà quella di trovare un equilibrio condiviso tra la necessità di sostenere settori strategici e l'esigenza di mantenere un certo grado di efficienza e razionalità nell'allocazione delle risorse.

In conclusione, il piano di Draghi rappresenta un tentativo di adattare l'Europa alle nuove dinamiche globali, ma solleva interrogativi su quanto l'intervento statale possa influire negativamente sull'efficienza economica. 

Se da un lato è indispensabile una risposta alle politiche di USA e Cina, dall'altro occorre vigilare affinché la politica economica non diventi dirigismo e alibi per scelte inefficienti.