venerdì 19 luglio 2019

Un buon portafoglio


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Chi risparmia ha per definizione un portafoglio. Ma esattamente come casa vostra non è un ammasso disordinato di mattoni, analogamente non dovrebbe esserlo il portafoglio.

In genere però non è così.

Una volta badare agli investimenti era come badare alla dispensa di casa. Il latte è finito? Ne compero altro. I BOT sono scaduti? Ne compero altri. Tutto era sempre uguale. Oggi non più.

I non addetti ai lavori spesso pensano che un “buon portafoglio” sia semplicemente la somma di tanti singoli ed indipendenti “buoni investimenti” dove la parola “buono” vuol dire “che guadagna”.
 

Ma non è così!

Questo modo di pensare è una eredità del passato ed è una manna per l’industria del risparmio: che sulla scorta di questa percezione ogni mese vendite moltissimi tipi di “buon prodotto”.

Non solo! Questa convinzione è così radicata, è data per scontata, che anche moltissimi tra i clienti “private” la accettano in modo acritico. Così ricevono lo stesso hamburger che è stato cucinato per i clienti del “piano strada”, ma che in questo caso viene servito su un piatto d’argento e da un cameriere in livrea.

Invece in un mondo che oscilla inserire un nuovo prodotto nel portafoglio vuol dire modificare il comportamento di tutto il portafoglio.

Quindi prima la domanda da fare non è “Quanto rende?” ma: “Perché mi consiglia questa operazione?”. Se vi viene risposto che così si migliorano le caratteristiche del portafoglio, potete stare ad ascoltare, ma se vi viene detto che è un prodotto “buono” iniziate domandarvi per chi sia buono. Potrebbe forse anche essere buono ma non essere confacente all’architettura del vostro portafoglio. E chi ve lo propone deve saperlo.

Abbiamo appreso nei capitoli precedenti che dobbiamo convivere con le oscillazioni dei mercati. 

Quindi un portafoglio “buono” non deve solo contenere investimenti che guadagnino, ma deve anche contenere investimenti che oscillino diversamente tra di loro, in modo da compensarsi e limitare i rischi complessivi. Al limite potrebbe essere saggio detenere alcuni investimenti che vanno male per tutto il periodo di detenzione, perché sono una sorta di “assicurazione”.

Quindi prima di iniziare discorsi più o meno manichei sui vantaggi e sui costi di fondi comuni, ETF e gestioni occorre capire che il mondo degli “investimenti da comprare” è finito da almeno 30 anni. Oggi chi vuole farvi comperare un “buon prodotto” non è un consulente ma è un venditore.

Voi avete bisogno di un consulente o di un fornitore di materie prime?


Ricapitolando

# Ad un investitore serve un tecnico che abbia un metodo solido e strumenti efficienti, i prodotti sono una conseguenza.

# I tempi sui quali si sviluppa la strategia di investimento, che dovrebbe portare ad ottenere i rendimenti attesi, non sono dell’ordine di settimane o mesi, ma almeno di alcuni anni.

# Le previsioni sono di tipo statistico e quindi hanno margini di incertezza sul risultato finale, ma non solo: potrebbero anche portare ad ampie oscillazioni “nel durante”.

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