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lunedì 26 maggio 2025

Certificati d’Investimento: Promesse di Sicurezza che Nascondono Rischi Reali


I certificati d’investimento sono spesso presentati come prodotti “protetti” o “a capitale condizionatamente garantito” e che offrono anche un buon un rendimento: sembrano a prima vista una risposta ragionevole alle esigenze di un investitore avverso al rischio. 

Ma è proprio quando i sottostanti scendono bruscamente e la volatilità aumenta – che si manifesta uno dei rischi più insidiosi e meno visibili: l’effetto barriera.

L’effetto barriera può trasformare un certificato da prodotto con “potenziale rendimento positivo anche in mercati laterali o deboli”, a strumento che consolida una perdita.

Da qui la domanda fondamentale: i certificati d’investimento offrono davvero la sicurezza che promettono? 

Come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli e non è possibile in un breve articolo dare una risposta esaustiva, tuttavia occorre tenere presente alcune questioni prima di aderire all’offerta di comperare un certificate.

Cos’è l’evento barriera e perché può diventare un rischio strutturale

L’evento barriera è un livello di prezzo – espresso in percentuale rispetto al valore iniziale del sottostante (per esempio, il 60%) – che, se raggiunto o superato al ribasso, in base a come è strutturato il certificato - compromette la protezione del capitale prevista inizialmente.

Durante fasi di alta volatilità il rischio di toccare o superare la barriera aumenta notevolmente. Se si verifica l’evento barriera si riceverà un valore decurtato, come se si fosse investito direttamente nel titolo perdente. E poiché non si riceve il titolo sul quale si pensava di avere investito, ma il suo valore, non ci sarà la possibilità di tenere e sperare in un recupero.

Gli investitori in certificati sono, in sostanza, assicuratori di portafogli altrui

Un elemento poco compreso è che acquistare un certificato equivale, di fatto, ad assumersi una parte del rischio che qualcun altro ha deciso di trasferire.
Le banche che li emettono strutturano questi strumenti vendendo opzioni sul mercato – in pratica, scommettendo che certi livelli non verranno toccati – e il rischio di quelle opzioni viene passato all’investitore sotto forma di barriera.
Facciamo un esempio: compero un certificato legato all’azione Alpha, con barriera al 60%. Se il titolo scende sotto quel livello, il certificato perde la protezione e l’investitore sarà esposto alla perdita piena. In pratica, è come se l’investitore avesse “assicurato” qualcun altro contro una caduta di Alpha sotto quella soglia.

Il richiamo anticipato: un’altra clausola che penalizza

Molti certificati prevedono poi una clausola di autocall, cioè la possibilità per l’emittente di richiamare il certificato anticipatamente, liquidandolo al valore prefissato più le eventuali cedole.
Se i mercati salgono l’”assicurazione” diventa inutile. Quindi  spesso proprio quando si potrebbero generare rendimenti interessanti e privi di rischio il rubinetto si chiude e chi ha sopportato la volatilità e i rischi dei mesi precedenti si ritrova con un guadagno minimo e senza la possibilità di beneficiare della fase più remunerativa: un meccanismo che tutela gli interessi dell’emittente, non quelli dell’investitore.

Con un portafoglio diversificato il tempo gioca a favore: con i certificati no

Una delle regole d’oro dell’investimento è la diversificazione, unita alla pazienza. La storia dei mercati azionari mostra che anche le crisi più profonde – dalla bolla dot-com al crollo del 2008 fino alla pandemia – sono state seguite da forti recuperi.

Chi investe in un portafoglio azionario diversificato ha, nel tempo, buone probabilità di ripianare le perdite. Ma i certificati non concedono questo lusso: o con l’evento barriera che cristallizza la perdita o con l’autocall che elide i guadagni.

Il risultato è che chi ha investito in un certificato ha meno opzioni di chi ha scelto un ETF o un’azione.


Dietro le strutture complesse di un certificate si nascondono meccanismi che trasferiscono il rischio all’investitore senza dargli i mezzi per gestirlo in modo efficace.


lunedì 19 maggio 2025

Il PAC è sempre un piano B


Prendete un quadrato di lato 2. Qual è la sua area? 2X2=4
Ma 4 è anche la metà del perimetro: 2+2=4
Quindi sia sommando sia moltiplicando si ottiene il risultato “giusto”.

Come vedete, a volte, per le ragioni sbagliate si fa la cosa giusta. E il PAC è un caso simile 

Il PAC: un risultato virtuoso per ragioni sbagliate

Passiamo ora dalla geometria alla finanza. Investire in Borsa è fondamentale ma non molti lo fanno. Per ovviare al problema ai piccoli risparmiatori italiani spesso viene proposto il Piano di Accumulo del Capitale, o PAC.

Il PAC funziona così: invece di investire tutto il capitale disponibile in un colpo solo (come nel PIC – Piano di Investimento di Capitale), si versano somme regolari nel tempo, acquistando quote di uno strumento finanziario (tipicamente un fondo). Questa pratica ha l’indubbio vantaggio di educare l’investitore alla costanza e alla pazienza, forzandolo a guardare lontano.

In Italia, dove la cultura finanziaria media è limitata e spesso focalizzata sul breve termine, questo è un merito enorme. Il PAC riesce a instillare una prospettiva di lungo periodo, che è essenziale per ottenere buoni risultati negli investimenti. Ma è un po’ come l’errore del quadrato: il comportamento è corretto, ma è frutto di una logica debole e ne sconta le conseguenze.

Il vero problema: il PAC non è conveniente

Se guardiamo più da vicino emerge una realtà scomoda: il PAC è molto spesso meno conveniente del PIC. E questo non solo per via dei costi, ma anche per motivi legati alla struttura stessa dei mercati.

Nel lungo periodo, i mercati finanziari tendono a salire. Non in modo lineare, ma storicamente è così. Quindi, se ho a disposizione un capitale e lo investo tutto subito (con un PIC) e attendo il tempo che aspetterei se facessi un PAC, in media mi posiziono su un prezzo più basso rispetto a chi entra poco a poco (PAC). Più l’orizzonte temporale si allunga, più questa differenza diventa penalizzante per chi sceglie un PAC a 5 o 10 anni.

Facciamo un esempio semplice: immaginiamo che il mercato cresca in media del 5% all’anno. Chi investe tutto subito beneficia di questa crescita su tutto il capitale da subito. Chi entra  gradualmente pur avendo tutto il capitale finisce per acquistare a prezzi medi progressivamente più alti. 

Eppure, la maggior parte delle banche e dei consulenti spinge per il PAC.

Perché il PAC è così popolare?

La risposta è culturale e commerciale. Il PAC è più facile da vendere, da spiegare ed accettare emotivamente. È rassicurante, parla la lingua della prudenza: “non investire tutto subito”, “diluisci il rischio”, “entra un po’ alla volta”. Per un pubblico inesperto e spesso abbandonato a sé stesso nei momenti critici, è una narrazione comoda.

Ma c’è anche un altro motivo meno nobile: il PAC genera più rendimento per chi lo propone e non occorre badare ai clienti nei momenti di caduta dei mercati. 

Inoltre ogni versamento può essere l’occasione per applicare un costo. E per il venditore è molto più facile far digerire una “minima” commissione al mese per anni che non molti euro in un’unica soluzione. Ma non solo: un consulente con 100 clienti che hanno un PAC danno molto meno lavoro di 100 clienti PIC!

Come nel caso del quadrato, un vero consulente non deve solo dare una strategia che dia risultati: bisogna anche essere in grado di saper trasmettere le ragioni e motivare il cliente, altrimenti è solo vendita. 


lunedì 12 maggio 2025

Investire in argento conviene davvero? Puntare sulla transizione ecologica in modo differente, ma non solo

In un’epoca di incertezza l’interesse per gli investimenti alternativi è tornato prepotentemente alla ribalta. Tra questi, l’argento si distingue per una combinazione unica: è sia metallo prezioso sia componente strategica per numerose industrie. Ma ha davvero senso investire in argento oggi? Oppure resta una scommessa ad alto rischio, riservata agli investitori più aggressivi?

1. Argento: un metallo industriale con anima rifugio

Le previsioni per il 2025 indicano una possibile crescita del prezzo dell’argento fino a 36–38 dollari l’oncia, rispetto ai 18–26 degli anni precedenti. Due fattori guidano questo trend:

  • Domanda industriale in espansione: l’argento è indispensabile in settori chiave della transizione energetica e digitale. Dal fotovoltaico (che da solo nel 2025 rappresenterà circa il 20% del consumo industriale), alle auto elettriche, dai semiconduttori ai dispositivi medici, l’utilizzo dell’argento è destinato ad aumentare.

  • Offerta strutturalmente in deficit: per il quarto anno consecutivo, la produzione non tiene il passo della domanda, generando uno squilibrio che sostiene i prezzi.

Questa doppia natura – industriale e rifugio – rende l’argento un asset interessante, soprattutto in un contesto di tensioni geopolitiche e transizione energetica accelerata.

2. Decorrelazione relativa: l’argento non è oro

Spesso si pensa all’argento come a un “oro minore”, ma le sue dinamiche di mercato sono differenti. Negli ultimi anni:

  • Ha mostrato correlazioni moderate con l’azionario, salendo nei periodi di crescita economica.

  • Ha avuto una correlazione variabile con le obbligazioni, influenzata da tassi e dollaro.

  • Non ha offerto protezione nei momenti di panico, come nel marzo 2020, quando è sceso in tandem con le borse.

Pertanto, l’argento non è un bene rifugio puro, ma può contribuire alla diversificazione, soprattutto in un portafoglio orientato alla crescita e ai trend strutturali come la transizione energetica.

3. Come investire in argento: ETF fisici e hedged

Acquistare argento fisico comporta costi e complessità logistico-assicurative. La soluzione più efficiente per un investitore europeo è rappresentata dagli ETF (Exchange Traded Funds) o ETC (Exchange Traded Commodities), ma con alcune distinzioni cruciali:

  • Replica fisica vs sintetica: Valutare se preferire ETF fisici (che detengono effettivamente il metallo), più trasparenti e affidabili per investimenti a lungo termine agli ETF sintetici, pur più efficienti ma che introducono rischio di controparte.

  • Copertura valutaria (hedging): poiché l’argento è quotato in dollari, le oscillazioni del cambio EUR/USD possono incidere significativamente sul rendimento per l’investitore europeo. Gli ETF “EUR Hedged” neutralizzano questo rischio, ma comportano costi aggiuntivi legati alla copertura.

Esempi di ETF fisici con copertura valutaria sono:

  • WisdomTree Physical Silver EUR Hedged

  • iShares Physical Silver ETC Hedged

  • Xtrackers IE Physical Silver EUR Hedged

Verificare sempre che il prodotto sia conforme agli standard UCITS (per benefici fiscali e trasparenza) e disponibile sulla propria piattaforma.

4. Vantaggi e rischi dell’investimento in argento

Punti di forza:

  • Forte domanda industriale strutturale, soprattutto in ambito green e tecnologico.

  • Offerta limitata, con difficoltà ad aumentare la produzione nel breve-medio termine.

  • Utile per una diversificazione intelligente, specie in un portafoglio concentrato su azioni e obbligazioni.

  • Asset reale e tangibile, che può proteggere dall’inflazione.

Criticità:

  • Volatilità elevata, più dell’oro.

  • Ciclicità economica: la performance dipende dallo stato di salute dell’economia globale.

  • Costi di copertura valutaria, soprattutto con l’attuale differenziale tra tassi USA e Eurozona.

  • Assenza di reddito: non genera interessi né dividendi.

5. Come integrare l’argento in un portafoglio europeo

Per un investitore bilanciato, l’argento può rappresentare una quota tra il 5% e il 10% della componente “alternativa” o reale del portafoglio. È particolarmente adatto a:

  • Chi vuole diversificare oltre i tradizionali strumenti finanziari.

  • Chi punta sulla transizione energetica e sull’innovazione tecnologica.

  • Chi cerca protezione dall’inflazione, ma ha già oro in portafoglio e vuole un’esposizione più dinamica.

Un esempio di portafoglio con l’argento (profilo aggressivo, orizzonte 3-7 anni):

Asset Class

Peso (%)

Note

Azioni globali

60%

Se si us aun solo ETF si rischia una elevata esposizione USA; attenzione alle valutazioni elevate di quel mercato e al dollaro

Obbligazioni EUR/globali hedged

20%

Durata 5 anni consigliata

Oro fisico hedged

5%

Bene rifugio

Argento fisico hedged

5%

Scommessa selettiva

Liquidità / titoli di Stato a breve

10%

Protezione di base


Gestione operativa:

  • Controllare e ribilanciare annualmente.

  • Utilizzare ETF armonizzati UCITS.

  • Valutare una consulenza personalizzata per una ottimizzazione fiscale.

L’argento non è una scelta scontata né priva di rischi, ma potrebbe avere un ruolo in portafoglio, grazie alla sua esposizione a trend industriali e alla scarsità dell’offerta. Per l’investitore europeo, l’approccio migliore è tramite ETF fisici con copertura valutaria, integrati in una strategia più ampia di diversificazione.


lunedì 5 maggio 2025

Meglio il mattone o le azioni?


Quando si parla di investimenti, una domanda torna ciclicamente tra gli investitori privati: meglio puntare sul mattone o sulle azioni? 

Sebbene i dati oggettivi possano offrire risposte articolate, è evidente che – almeno sul piano emotivo – l’investimento immobiliare risulti più rassicurante e convincente rispetto a quello azionario. 

Ma perché? Cosa rende il possesso di una casa più tranquillizzante rispetto a un portafoglio titoli, anche quando i rendimenti effettivi non lo giustificano?

1. La psicologia del possesso: concretezza batte volatilità

Un immobile è visibile, tangibile, visitabile. Il solo fatto che si possa toccare e vedere genera una sensazione di controllo. Al contrario, le azioni sono entità astratte: numeri in un portafoglio, soggette a variazioni continue, legate a decisioni aziendali, geopolitica e umori del mercato. Il mattone, insomma, “non tradisce mai” – o almeno così pare.

Questa percezione è rafforzata dal fatto che il mercato immobiliare appare stabile: i prezzi non vengono aggiornati minuto per minuto, e anche nei momenti di crisi, invece di scendere bruscamente, si assiste piuttosto a un calo delle transazioni. 

Di conseguenza, il proprietario non viene mai quasi messo realmente di fronte a una svalutazione ufficiale del proprio immobile. Di fronte ad una offerta di mercato ma che ritiene inadeguata può sempre pensare che “vale di più” e rifiutarla. Così si allungano i tempi di vendita e si genera quel meccanismo per cui - in caso di crisi dei prezzi - gli immobili non sembrano calare perché si rarefanno gli scambi. E solo chi fosse proprio costretto a vendere assillerà per sempre parenti e amici con il racconto della propria sfortuna e della rapacità della controparte.

2. La struttura del mercato: trasparenza vs. opacità

I mercati finanziari sono regolamentati, trasparenti e continuamente monitorati. I prezzi sono noti in tempo reale, le performance vengono pubblicate sui giornali e nei telegiornali, e l’investitore è costantemente esposto al giudizio implicito del mercato.

Il mercato immobiliare, invece, è frammentato, non centralizzato, con informazioni spesso limitate a riviste di annunci locali. Inoltre le case non sono tutte uguali, anche solo per la questione dei piani. Quindi anche una offerta ragionevole ma fatta ad prezzo inferiore rispetto all’acquisto può essere giustificata come un’eccezione da non accettare. 

Il risultato? Un contesto dove è molto più facile proteggere l’autostima dell’investitore.

3. L’illusione del guadagno: il “conto della serva”

Chiunque abbia acquistato una casa negli anni ’80 o ’90 racconta con orgoglio di averla pagata l’equivalente di 100 e oggi vederla valutata 500. 

Questo calcolo grezzo ignora i costi di manutenzione, le tasse, e la difficoltà di vendere rapidamente economicamente e al prezzo desiderato. 

Al contrario, un investimento in azioni che cala del 20% in poco tempo è percepito come un “errore” nell’aver comperato. Anche se il calo è temporaneo o parte di un ciclo fisiologico.

L’immediatezza dell’informazione finanziaria non lascia spazio alla “memoria selettiva” e al racconto favorevole a posteriori.
Senza considerare poi che i dividendi percepiti spesso cadono nel “dimenticatoio”. 

4. L’impatto emotivo del tempo

Vendere o comprare una casa richiede tempo: settimane, mesi, anche anni. Ciò attenua l’emotività, lascia spazio al ragionamento, e diluisce la pressione. I mercati finanziari, al contrario, funzionano in tempo reale. Un clic è sufficiente per vendere un’intera posizione, magari in preda al panico. Questo riflette una realtà paradossale: la stessa efficienza e liquidità del mercato azionario – che lo rendono uno strumento eccellente per gestire investimenti – possono diventare una trappola psicologica per l’investitore emotivo.

5. Il ruolo dei media

L’asimmetria informativa gioca un ruolo centrale. L’investitore immobiliare medio riceve notizie lente, poco dettagliate, raramente negative. Al contrario, l’investitore in titoli è bombardato da dati, analisi, previsioni contraddittorie e alert. L’overload informativo genera ansia e spesso conduce a decisioni impulsive. Di qui nasce la necessità di vedere il consulente finanziario non tanto come quello che consiglia “buoni” titoli, quanto per aiutare il cliente a restare fermo sulla posizione scelta con cura.

L’idea di “casa” offre all’investitore medio una rassicurazione emotiva molto più forte di quella azionaria. Questo non lo rende automaticamente migliore sul piano finanziario, ma certamente più “digeribile” dal punto di vista psicologico.

MA la domanda che vi pongo è: mentre pensate ad “azione” pensate in automatico a geopolitica e instabilità se pensate a “casa” pensate altrettanto facilmente a calo demografico; cambiamento climatico; insolvenze degli inquilini? Ma nei prossimi anni saranno temi dai quali non si potrà prescindere