I certificati d’investimento sono spesso presentati come prodotti “protetti” o “a capitale condizionatamente garantito” e che offrono anche un buon un rendimento: sembrano a prima vista una risposta ragionevole alle esigenze di un investitore avverso al rischio.
Ma è proprio quando i sottostanti scendono bruscamente e la volatilità aumenta – che si manifesta uno dei rischi più insidiosi e meno visibili: l’effetto barriera.
L’effetto barriera può trasformare un certificato da prodotto con “potenziale rendimento positivo anche in mercati laterali o deboli”, a strumento che consolida una perdita.
Da qui la domanda fondamentale: i certificati d’investimento offrono davvero la sicurezza che promettono?
Come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli e non è possibile in un breve articolo dare una risposta esaustiva, tuttavia occorre tenere presente alcune questioni prima di aderire all’offerta di comperare un certificate.
Cos’è l’evento barriera e perché può diventare un rischio strutturale
L’evento barriera è un livello di prezzo – espresso in percentuale rispetto al valore iniziale del sottostante (per esempio, il 60%) – che, se raggiunto o superato al ribasso, in base a come è strutturato il certificato - compromette la protezione del capitale prevista inizialmente.
Durante fasi di alta volatilità il rischio di toccare o superare la barriera aumenta notevolmente. Se si verifica l’evento barriera si riceverà un valore decurtato, come se si fosse investito direttamente nel titolo perdente. E poiché non si riceve il titolo sul quale si pensava di avere investito, ma il suo valore, non ci sarà la possibilità di tenere e sperare in un recupero.
Gli investitori in certificati sono, in sostanza, assicuratori di portafogli altrui
Un elemento poco compreso è che acquistare un certificato equivale, di fatto, ad assumersi una parte del rischio che qualcun altro ha deciso di trasferire.
Le banche che li emettono strutturano questi strumenti vendendo opzioni sul mercato – in pratica, scommettendo che certi livelli non verranno toccati – e il rischio di quelle opzioni viene passato all’investitore sotto forma di barriera.
Facciamo un esempio: compero un certificato legato all’azione Alpha, con barriera al 60%. Se il titolo scende sotto quel livello, il certificato perde la protezione e l’investitore sarà esposto alla perdita piena. In pratica, è come se l’investitore avesse “assicurato” qualcun altro contro una caduta di Alpha sotto quella soglia.
Il richiamo anticipato: un’altra clausola che penalizza
Molti certificati prevedono poi una clausola di autocall, cioè la possibilità per l’emittente di richiamare il certificato anticipatamente, liquidandolo al valore prefissato più le eventuali cedole.
Se i mercati salgono l’”assicurazione” diventa inutile. Quindi spesso proprio quando si potrebbero generare rendimenti interessanti e privi di rischio il rubinetto si chiude e chi ha sopportato la volatilità e i rischi dei mesi precedenti si ritrova con un guadagno minimo e senza la possibilità di beneficiare della fase più remunerativa: un meccanismo che tutela gli interessi dell’emittente, non quelli dell’investitore.
Con un portafoglio diversificato il tempo gioca a favore: con i certificati no
Una delle regole d’oro dell’investimento è la diversificazione, unita alla pazienza. La storia dei mercati azionari mostra che anche le crisi più profonde – dalla bolla dot-com al crollo del 2008 fino alla pandemia – sono state seguite da forti recuperi.
Chi investe in un portafoglio azionario diversificato ha, nel tempo, buone probabilità di ripianare le perdite. Ma i certificati non concedono questo lusso: o con l’evento barriera che cristallizza la perdita o con l’autocall che elide i guadagni.
Il risultato è che chi ha investito in un certificato ha meno opzioni di chi ha scelto un ETF o un’azione.
Dietro le strutture complesse di un certificate si nascondono meccanismi che trasferiscono il rischio all’investitore senza dargli i mezzi per gestirlo in modo efficace.