Quando si parla di investimenti, una domanda torna ciclicamente tra gli investitori privati: meglio puntare sul mattone o sulle azioni?
Sebbene i dati oggettivi possano offrire risposte articolate, è evidente che – almeno sul piano emotivo – l’investimento immobiliare risulti più rassicurante e convincente rispetto a quello azionario.
Ma perché? Cosa rende il possesso di una casa più tranquillizzante rispetto a un portafoglio titoli, anche quando i rendimenti effettivi non lo giustificano?
1. La psicologia del possesso: concretezza batte volatilità
Un immobile è visibile, tangibile, visitabile. Il solo fatto che si possa toccare e vedere genera una sensazione di controllo. Al contrario, le azioni sono entità astratte: numeri in un portafoglio, soggette a variazioni continue, legate a decisioni aziendali, geopolitica e umori del mercato. Il mattone, insomma, “non tradisce mai” – o almeno così pare.
Questa percezione è rafforzata dal fatto che il mercato immobiliare appare stabile: i prezzi non vengono aggiornati minuto per minuto, e anche nei momenti di crisi, invece di scendere bruscamente, si assiste piuttosto a un calo delle transazioni.
Di conseguenza, il proprietario non viene mai quasi messo realmente di fronte a una svalutazione ufficiale del proprio immobile. Di fronte ad una offerta di mercato ma che ritiene inadeguata può sempre pensare che “vale di più” e rifiutarla. Così si allungano i tempi di vendita e si genera quel meccanismo per cui - in caso di crisi dei prezzi - gli immobili non sembrano calare perché si rarefanno gli scambi. E solo chi fosse proprio costretto a vendere assillerà per sempre parenti e amici con il racconto della propria sfortuna e della rapacità della controparte.
2. La struttura del mercato: trasparenza vs. opacità
I mercati finanziari sono regolamentati, trasparenti e continuamente monitorati. I prezzi sono noti in tempo reale, le performance vengono pubblicate sui giornali e nei telegiornali, e l’investitore è costantemente esposto al giudizio implicito del mercato.
Il mercato immobiliare, invece, è frammentato, non centralizzato, con informazioni spesso limitate a riviste di annunci locali. Inoltre le case non sono tutte uguali, anche solo per la questione dei piani. Quindi anche una offerta ragionevole ma fatta ad prezzo inferiore rispetto all’acquisto può essere giustificata come un’eccezione da non accettare.
Il risultato? Un contesto dove è molto più facile proteggere l’autostima dell’investitore.
3. L’illusione del guadagno: il “conto della serva”
Chiunque abbia acquistato una casa negli anni ’80 o ’90 racconta con orgoglio di averla pagata l’equivalente di 100 e oggi vederla valutata 500.
Questo calcolo grezzo ignora i costi di manutenzione, le tasse, e la difficoltà di vendere rapidamente economicamente e al prezzo desiderato.
Al contrario, un investimento in azioni che cala del 20% in poco tempo è percepito come un “errore” nell’aver comperato. Anche se il calo è temporaneo o parte di un ciclo fisiologico.
L’immediatezza dell’informazione finanziaria non lascia spazio alla “memoria selettiva” e al racconto favorevole a posteriori.
Senza considerare poi che i dividendi percepiti spesso cadono nel “dimenticatoio”.
4. L’impatto emotivo del tempo
Vendere o comprare una casa richiede tempo: settimane, mesi, anche anni. Ciò attenua l’emotività, lascia spazio al ragionamento, e diluisce la pressione. I mercati finanziari, al contrario, funzionano in tempo reale. Un clic è sufficiente per vendere un’intera posizione, magari in preda al panico. Questo riflette una realtà paradossale: la stessa efficienza e liquidità del mercato azionario – che lo rendono uno strumento eccellente per gestire investimenti – possono diventare una trappola psicologica per l’investitore emotivo.
5. Il ruolo dei media
L’asimmetria informativa gioca un ruolo centrale. L’investitore immobiliare medio riceve notizie lente, poco dettagliate, raramente negative. Al contrario, l’investitore in titoli è bombardato da dati, analisi, previsioni contraddittorie e alert. L’overload informativo genera ansia e spesso conduce a decisioni impulsive. Di qui nasce la necessità di vedere il consulente finanziario non tanto come quello che consiglia “buoni” titoli, quanto per aiutare il cliente a restare fermo sulla posizione scelta con cura.
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