Ti fideresti di un medico che ti regala un buono Amazon se scegli una cura invece di un’altra?
Nel mondo finanziario, qualcosa di simile accade ogni giorno.
Con l’arrivo dell’autunno, molte banche lanciano campagne che offrono buoni regalo o sconti a chi trasferisce il proprio conto o sposta i propri risparmi.
Un’iniziativa che sembra innocua — perfino simpatica — ma che nasconde un messaggio più profondo: la consulenza non è più un servizio, è diventata una leva di marketing.
Dalla banca “cassaforte” alla banca “consulente”
Per capire come siamo arrivati qui bisogna fare un passo indietro.
Un tempo la banca era un intermediario di denaro: raccoglieva risparmio e concedeva credito.
Oggi, quel modello non regge più. I margini sul credito sono ridotti, la concorrenza dei tassi è elevata e la redditività si è spostata verso un altro settore: la gestione del risparmio.
Così le banche hanno cambiato pelle.
Da intermediari sono diventate “consulenti”, ma con una differenza sostanziale: la consulenza che offrono non è indipendente, perché si regge su incentivi economici legati ai prodotti collocati.
In altre parole, chi ti “consiglia” un investimento viene spesso remunerato da chi quel prodotto lo emette, non da te che lo acquisti.
Il consulente: una figura nata dentro la banca, non fuori da essa
La figura del consulente bancario nasce per dare un volto umano a un sistema commerciale.
È la naturale evoluzione dell’impiegato che un tempo vendeva obbligazioni o polizze: oggi usa parole diverse, strumenti più raffinati, ma gli obiettivi restano legati a budget e campagne.
La parola “consulenza” suggerisce analisi, ascolto, personalizzazione.
Ma finché la banca rimane la mandante, quella consulenza non può essere davvero libera.
Non è cattiva volontà dei singoli: è la struttura del sistema a renderli venditori con l’etichetta di consulenti.
Il finto abito dell’indipendenza
Negli ultimi anni molte reti si presentano come “consulenti a 360°” perché offrono prodotti di diversi gestori, non solo “di casa”.
A prima vista sembrerebbe un segnale di apertura.
In realtà, il modello non cambia: la banca o la rete continuano a percepire inducements, cioè retrocessioni dai fondi distribuiti.
Il risultato è che il cliente paga due volte:
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attraverso le commissioni di gestione dei fondi;
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attraverso la perdita di neutralità nella consulenza che riceve.
La relazione resta squilibrata: chi propone non è pagato per consigliarti la cosa migliore, ma per collocare ciò che conviene al sistema che rappresenta.
Le campagne con premi o buoni regalo non sono uno scandalo in sé.
Sono semplicemente la cartina di tornasole di un modello che tratta la fiducia come una moneta di scambio.
Non si premia il risparmio, ma il trasferimento; non si costruisce un progetto, ma si spinge una conversione.
È il segno che la relazione con il cliente si è spostata dal terreno della fiducia reciproca a quello del marketing transazionale.
E quando la consulenza diventa una promozione stagionale, il cliente smette di essere una persona con obiettivi e diventa un target da convincere.
Cosa può fare chi vuole davvero essere al centro
Per difendersi, il cliente deve iniziare a farsi una domanda semplice:
“Chi paga la persona che mi consiglia cosa fare con i miei soldi?”
La vera differenza non sta tra chi è più gentile o più preparato, ma tra chi è remunerato dal cliente e chi è remunerato dal prodotto.
Solo nel primo caso il consiglio può essere libero da interessi di parte.
Non è un invito alla sfiducia, ma alla consapevolezza: capire come funziona il sistema è il primo passo per scegliere con cognizione di causa.
La fiducia non si compra: si costruisce
Le banche oggi offrono buoni Amazon per guadagnare nuovi clienti.
Un professionista serio lavora invece per guadagnarsi la fiducia dei clienti che ha già.
È questa la differenza tra chi lavora per la mandante e chi lavora per il cliente.
La fiducia, a differenza dei buoni, non ha scadenza.
📩 Se vuoi capire come riconoscere una consulenza realmente indipendente da una proposta commerciale, scrivimi: posso spiegarti come farlo in modo chiaro e concreto.
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🔍 3 segnali per capire se la tua consulenza è davvero indipendente
1️⃣ Chi ti paga?
Se il consulente è remunerato dalla banca o da chi produce i prodotti che ti propone, non può essere completamente libero nelle sue scelte.
👉 La vera indipendenza nasce quando il cliente è l’unico a pagare per il servizio ricevuto.
2️⃣ Qual è il suo obiettivo?
Un consulente che lavora per te cerca di costruire un piano coerente con i tuoi obiettivi di vita, non di chiudere una campagna trimestrale.
👉 Se il discorso ruota attorno al “prodotto del momento”, c’è un conflitto di interessi in azione.
3️⃣ Come ragiona nel tempo?
La consulenza indipendente non si esaurisce nella proposta iniziale.
👉 Ti accompagna nel tempo, rivede le scelte, aggiorna la strategia: perché la tua vita cambia, e il piano deve cambiare con te.
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