venerdì 2 agosto 2019

Investimenti: la metafora del lavoro autonomo e del lavoro dipendente.

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Visto il periodo che invita a riflessioni leggere, mentre ci godiamo un meritato riposo estivo, vi offro uno spunto che ci permette di lasciare libero l’emisfero destro del cervello.

Tutti sanno che le azioni danno buone soddisfazioni nei momenti di espansione economica e che le obbligazioni hanno invece un rendimento più costante. Non sono invece sicuro che molti abbiano mai tentato di fare un parallelo tra le due asset class (azioni e obbligazioni) e le categorie dei lavoratori autonomi o dei dipendenti.

Un lavoro autonomo è paragonabile ad una azione. Se l’economia tira il suo reddito salirà e per contro, in tempo di crisi, scenderà con uguale velocità, non avendo reti di protezione.

Invece un lavoro dipendente è come una obbligazione, grazie ad una maggiore tutela, come i contratti collettivi di lavoro o i sindacati, non ci saranno mai oscillazioni violente del reddito, salvo il caso particolare di crisi dell’azienda. Non solo, è possibile che anche in quella malaugurata ipotesi ci siano meccanismi, almeno parziali, di contenimento dei danni.

Questa considerazione tutto sommato banale potrebbe essere una buona base di lancio per effettuare alcune conclusioni non banali.

Noi prendiamo le nostre decisioni di investimento con la pancia o con la testa? Decidete voi.

Chi ha un lavoro dipendente non ha in genere una elevata propensione al rischio. Ma se una famiglia ha redditi da lavoro dipendente e non ci sono all’orizzonte particolari rischi di perdita del lavoro, dove avrebbe senso accantonare il risparmio di lungo periodo? Nelle azioni o nelle obbligazioni? Immagino che la risposta dovrebbe essere nelle azioni. Ma se si ha una bassa propensione al rischio non è probabile che la quantità di investimenti azionari sia più modesta di quello che dovrebbe essere? E questo fatto non potrebbe portare ad un impoverimento non necessario del patrimonio familiare?

Ovviamente il discorso dovrebbe essere rifinito meglio, stabilendo quali siano le proporzioni che permettano di vivere confortevolmente, anche dal punto di vista emotivo. Ma il principio non mi pare da scartare.

E per contro un imprenditore, probabilmente ha una maggiore propensione al rischio. Ma ha senso una esposizione importante ai mercati azionari dettata più dall’ottimismo strutturale che da una analisi? Non è forse possibile che sia presente una distorsione frutto della personalità? Anche qui occorrerebbe approfondire.

E saltando ad un altra famiglia di considerazioni: chi si è mai posto la domanda: “se avessi la bacchetta magica tra 5 anni, guardandomi indietro vorrei avere scelto di essere un impiegato di una azienda o di essere un lavoratore autonomo? E quale settore preferirei?”

Poi ci sono ovviamente, settori e settori. Un lavoratore autonomo che da anni che fa il ristoratore probabilmente ha un livello di rischio minore rispetto ad un lavoratore dipendente di una startup. Anche qui il concetto è da raffinare bene.

Bene, spero di avervi dato uno spunto di riflessione da svolgere sotto l’ombrellone o sotto un pino. Contattatemi, seguitemi sui social, fatemi delle domande e sicuramente vi risponderò. Alla prossima.

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