È davvero il momento giusto per il private equity? Oppure c’è qualcosa che non torna?
Negli ultimi tempi il private equity è tornato al centro del dibattito. Sempre più consulenti lo propongono anche a piccoli risparmiatori, presentandolo come un’opportunità unica per diversificare il portafoglio e ottenere rendimenti superiori a quelli dei mercati quotati.
Ma siamo sicuri che sia davvero così?
Cerchiamo di capire, senza tecnicismi, di cosa si tratta, quali sono le condizioni in cui il private equity funziona bene e perché la sua improvvisa “democratizzazione” potrebbe non essere una buona notizia per chi investe con il proprio patrimonio personale.
Cos’è il private equity (e perché promette tanto)
Il private equity è una forma di investimento in aziende che non sono quotate in borsa. In pratica, i gestori raccolgono soldi da investitori e li usano per comprare società non quotate, spesso con l’obiettivo di farle crescere, o ristrutturarle o alla quotazione.
Finora è sempre stato un gioco per pochi: fondi pensione, grandi banche, famiglie con patrimoni importanti. Il motivo? Serve capitale paziente, visione di lungo periodo e accettare che i soldi saranno bloccati per molti anni.
Quando il private equity funziona (e quando no)
Il rendimento del private equity può essere molto interessante, ma solo in certi contesti economici. I principali fattori da tenere d’occhio sono tre:
1. Tassi di interesse bassi:
Questi investimenti si basano spesso sull’uso del debito. Se i tassi sono bassi, il costo del capitale è contenuto e le operazioni rendono di più. Ma oggi i tassi sono molto più alti rispetto agli ultimi dieci anni, e questo incide sulle prospettive.
2. Cambio euro-dollaro stabile:
Molte delle aziende acquisite, o delle exit (uscite), avvengono negli Stati Uniti. Se il cambio EUR/USD è instabile, i ritorni possono risentirne. Un euro troppo forte, ad esempio, riduce il valore finale dell’investimento in dollari.
3. Economia prevedibile e stabile:
Le strategie di private equity richiedono tempo. Se l’economia è in crescita moderata e senza scossoni, le aziende acquisite hanno più possibilità di crescere e generare valore. Ma se ci sono recessioni improvvise o inflazione alta, i piani rischiano di saltare.
Insomma: il private equity funziona bene con condizioni macro favorevoli. E oggi, onestamente, non è detto che ci siano tutte.
Perché il private equity viene proposto oggi anche ai piccoli investitori?
Qui viene il punto più delicato. Molti colossi della gestione – da BlackRock a KKR – stanno spingendo sul private equity anche per clienti retail. Sembra un’idea interessante: offrire ai risparmiatori le stesse opportunità dei grandi fondi.
Ma c’è un rovescio della medaglia.
1. I tuoi soldi restano bloccati per anni:
Si tratta di fondi illiquidi: non puoi uscire quando vuoi. Se hai bisogno del capitale, potresti trovarti in difficoltà.
2. Costi alti e poca trasparenza:
Le commissioni sono molto alte e spesso mancano informazioni dettagliate su come vengono scelti gli investimenti.
3. Chi guadagna davvero?
Secondo diversi analisti, i fondi migliori continuano a essere riservati agli investitori istituzionali. I prodotti “aperti” al pubblico spesso includono operazioni meno redditizie, o più rischiose.
4. Perché proprio ora?
Un sospetto legittimo: se oggi c’è tanto interesse a coinvolgere il pubblico, forse è perché le raccolte istituzionali stanno rallentando. E quindi si cercano nuove fonti di capitale, magari per avvicendare i grandi che sono desiderosi di uscire (in tempo?).
Il private equity può essere una leva potente per generare rendimento, ma non è per tutti e non in tutte le fasi di mercato.
Prima di investire, è fondamentale capire bene i tempi, i rischi e la struttura del prodotto. E, soprattutto, capire cosa si potrebbe celare dietro ad una moda.
Nessun commento:
Posta un commento