Vincere non è soltanto una questione di competenze tecniche o di accesso a informazioni esclusive.
Uno degli elementi meno considerati – ma più determinanti – per ottenere risultati solidi e duraturi è la forma mentis, ovvero il modo in cui l’investitore interpreta e affronta le dinamiche dei mercati finanziari.
Il ruolo della psicologia negli investimenti
Molti investitori – in perfetta buona fede – credono di puntare unicamente al rendimento: pensano che, se l’investimento farà guadagnare, saranno soddisfatti; altrimenti, saranno scontenti.
L’esperienza sul campo, però, racconta qualcosa di diverso:
esistono clienti che guadagnano bene ma sono comunque insoddisfatti;
altri che accettano con serenità una perdita;
altri ancora che non ottengono un rendimento significativo e sono comunque contenti.
Come si spiega questa apparente contraddizione?
La chiave è nella capacità del consulente di comunicare: interpretare la situazione e allinearla alle aspettative emotive del cliente.
Non è raro che una persona creda di essere interessata solo al rendimento, quando in realtà cerca altro: sicurezza, conferme, senso di controllo, oppure perfino emozioni forti.
Questo “altro” elemento si radica nella soggettiva concezione del piacere. Come ben intuiva Epicuro, tutti cerchiamo il piacere, ma lo facciamo in forme diverse.
Quando il cliente è contento (o scontento)
Per rappresentare visivamente la relazione tra comunicazione, rendimento e soddisfazione del cliente, possiamo usare un semplice schema a due assi:
Asse orizzontale: Capacità di comunicazione del consulente
Asse verticale: Capacità di generare rendimento (inteso come rendimento adeguato rispetto al rischio)
Ne derivano quattro scenari possibili:
✅ Alto rendimento + buona comunicazione → Cliente contento
😠 Alto rendimento + scarsa comunicazione → Cliente che brontola
🙂 Scarso rendimento + buona comunicazione → Cliente comunque soddisfatto (sei sicuro di non essere qui?)
❌ Scarso rendimento + scarsa comunicazione → Cliente insoddisfatto
Il punto centrale è che il guadagno deve essere “giusto”, cioè proporzionato al rischio sostenuto.
Ma la percezione del rischio da parte dell’investitore amatoriale è spesso distorta o lacunosa.
Il rischio e la sua percezione
L’investitore non professionista ha una visione del rischio differente da quella del professionista – e, di conseguenza, si comporta in modo diverso e più vulnerabile.
Tende, ad esempio, a concentrare eccessivamente il portafoglio su pochi titoli.
Perché?
Percepisce maggiormente la fatica di gestire un portafoglio ampio, rispetto al rischio – ben più concreto ma meno visibile – di detenere un portafoglio concentrato.
Si creano così situazioni di confidenza illusoria e sovraesposizione.
Un caso tipico: si ritiene che un portafoglio obbligazionario con pochi titoli sia sicuro “per definizione”.
Ma episodi come Parmalat e Argentina ci ricordano quanto questa convinzione sia fragile.
Quando il rischio si concretizza, il comportamento classico dell’investitore amatoriale è:
attribuire la colpa all’esterno (alla banca, alla sfortuna, al complotto);
e, in caso di guadagno, attribuirsi il merito.
Questo è un bias cognitivo noto: si chiama bias dell’autocompiacimento (self-serving bias).
La mente umana tende a ristrutturare il passato per confermare la narrazione: “era evidente che sarebbe andata così”.
Il rischio e il senno di poi
Un altro classico esempio di distorsione cognitiva è rappresentato da certi articoli di giornale che celebrano retrospettivamente i rendimenti di titoli come Apple.
È vero che un investimento di 100.000 dollari in Apple nel 1998 oggi varrebbe milioni.
Ma si dimenticano dettagli fondamentali:
Nel 1998 Apple valeva 15 centesimi ed era considerata in declino.
Nel 2000 era salita a 1,15 dollari, ma nel 2002 era crollata di nuovo a 30 centesimi (–75%).
Dal massimo del 2024 a oggi, il titolo ha perso circa il 20%.
Chi avrebbe avuto la forza emotiva di rimanere investito, sopportando una perdita del 75%, soprattutto se quei 100.000 dollari rappresentavano tutto il proprio patrimonio?
Eppure, col senno di poi, tutto appare chiaro. È il ben noto hindsight bias, la tendenza a giudicare le decisioni passate come ovvie dopo averne visto l’esito.
Conclusione (provvisoria)
La prossima volta definiremo meglio cosa è il rischio. Per adesso osserviamo che
- è la corretta percezione del rischio il vero discrimine tra investitori di successo e gli investitori amatoriali.
- L’investitore di successo ottiene un aiuto dal suo professionista non solo per la parte tecnica ma anche per l’educazione alla corretta percezione delle dinamiche di mercato e alla loro relazione con le proprie emozioni.
- L’investitore di successo comprende l’essenza del rischio e il suo ruolo, i propri bias cognitivi e il ruolo del consulente nel processo d'investimento.
- Per guadagnare in modo consapevole e sostenibile il consulente di un investitore di successo non ha solo un ruolo tecnico, ma anche educativo e psicologico.
Se vuoi approfondire come costruire un portafoglio adatto alla tua forma mentis, scrivimi.
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