Avete presente la famosa frase de “Il gattopardo”? Oggi la applichiamo all’industria del risparmio gestito.
Per anni i clienti si sono visti proporre solo fondi e prodotti della casa, cioè quelli emessi o distribuiti direttamente dalla banca o dalla rete di appartenenza.
Un sistema che ha funzionato finché i risparmiatori si sono fidati. Quando però è emersa maggiore consapevolezza, anche grazie alle esperienze maturate, molti hanno iniziato a dubitare.
E così le banche hanno cambiato strategia: invece di proporre solo i propri fondi, hanno iniziato a distribuire prodotti di terzi, ma stipulando accordi di retrocessione, cioè accordi che riconoscevano una commissione alla banca.
In questo scenario la narrativa era: “abbiamo tutti i fondi del mondo a disposizione, così possiamo scegliere il migliore per te”.
Ma la realtà era ben diversa. Non tutti i fondi garantivano lo stesso ritorno di retrocessione: alcuni pagavano di più, altri di meno. E così, inevitabilmente, la spinta commerciale andava - e tuttora va - verso i fondi con la commissione (l’inducement) più alta, che - inutile dirlo - non necessariamente sono quelli migliori per il cliente.
In altre parole, la “consulenza” continua a essere condizionata da logiche di vendita.
Da un annetto circa anche questo modello sta mostrando la corda e il marketing ha “inventato” la consulenza.
Con la formula fee on top, si parla finalmente di consulenza e il servizio sembra gratuito.
In realtà il compenso continua ad arrivare tramite i medesimi accordi di retrocessione di cui parlavo prima. Il conflitto di interessi resta identico: se non paga il cliente, paga qualcun altro, e quel qualcun altro condiziona la qualità e l’imparzialità del consiglio.
Il cliente più consapevole potrebbe allora scegliere la consulenza fee only, più trasparente perché priva di incentivi esterni, ma il costo diretto spesso scoraggia gli investitori meno esperti, che finiscono per preferire servizi apparentemente gratuiti.
Ma cosa più importante e ancora meno evidente è che esistono differenti livelli di professionalità nell’erogazione della consulenza fee only.
Vi potreste chiedere ad esempio quale sia il livello di conoscenza della piattaforma software fornita al consulente dalla banca: il rischio è di trovarsi di fronte ad un venditore che impersona un consulente.
Infatti questi software propongono al consulente un portafoglio standard a fronte di un determinato profilo. Questo da un lato aiuta il commerciale a gestire le grandi masse di clienti, ma per contro limita la libertà e la profondità delle analisi: raramente i consulenti conoscono davvero le logiche i motivi ed i parametri con cui vengono generate le raccomandazioni di investimento.
La questione è cruciale: se un consulente ha molte decine o centinaia di clienti difficilmente avrà tempo e forze per studiare a fondo il dettaglio tecnico e le banche hanno un preciso interesse a non spiegare fino in fondo i meccanismi del software: un consulente troppo preparato e indipendente potrebbe essere tentato di costruirsi un proprio seguito di clienti. Meglio quindi tenerlo “dipendente” dallo strumento.
Il problema, in sostanza è la qualità reale della consulenza: la differenza tra il “sapere che” e il “sapere perché”.
Un algoritmo, per quanto sofisticato, è stato programmato per funzionare mediamente bene ma serve la lucidità di un consulente esperto per capire quando è invece necessario intervenire.
Il rischio di fondo per il cliente è confondere la vendita di una “consulenza confezionata” con la consulenza.
Per questo motivo chi vuole davvero gestire i propri risparmi in modo consapevole dovrebbe uscire dalla zona di comfort e chiedere una consulenza fee only, dopo aver valutato la qualità del professionista.
Ma questo è il destino di pochi. La massa apprezzerà il cambio del costume di scena.
Nella consulenza la vera differenza la fanno la consapevolezza del cliente e del consulente.
Un consulente deve conoscere i propri strumenti, saperli interpretare, saperli eventualmente mettere in discussione. E il cliente, da parte sua, deve imparare a riconoscere i conflitti di interesse nascosti dietro la parola “consulenza”.
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