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lunedì 28 luglio 2025

L’Europa senza gli USA: il sequestro dei fondi russi come arma geopolitica ed economica

Tra ricostruzione dell’Ucraina e guerra valutaria, Bruxelles potrebbe sfidare Mosca e Washington in un solo colpo.

Nel cuore della burocrazia europea, un’idea potenzialmente esplosiva inizia a prendere forma: trasformare il patrimonio immobilizzato della Banca Centrale Russa — circa 200 miliardi di euro congelati nel sistema finanziario europeo — in un fondo per la ricostruzione dell’Ucraina. Ma questa operazione, finora ritenuta troppo rischiosa e giuridicamente incerta, potrebbe diventare realtà in uno scenario che si va delineando con inquietante chiarezza: un’Europa pronta a muoversi in autonomia, senza l’ombrello militare statunitense e sempre più insofferente verso le guerre commerciali a stelle e strisce.

Due condizioni renderebbero politicamente percorribile una mossa che, fino a ieri, sembrava tabù:

  1. La percezione che l’Unione Europea possa reggere l’urto di una Russia sempre più logorata e isolata militarmente, anche senza l’intervento diretto di Washington.

  2. Il deteriorarsi strutturale dei rapporti transatlantici, con dazi, extraterritorialità legale e politiche valutarie aggressive che rendono sempre meno sostenibile l’alleanza economica con gli Stati Uniti.

Una mossa, due obiettivi strategici

Il sequestro definitivo dei fondi russi avrebbe un duplice valore: geopolitico ed economico.
Da un lato, si creerebbe un fondo immediatamente disponibile per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina e, parallelamente, rilanciare l’economia europea con nuovi investimenti. Non si tratterebbe di aiuti da negoziare in Parlamento o di debito da contrarre: sarebbe, in sostanza, denaro "gratuito", già disponibile, pronto all’uso.

Dall’altro lato, l’effetto collaterale più interessante potrebbe rivelarsi il più strategico: l’indebolimento dell’euro sul dollaro — stimato tra il 3% e il 7% nel medio termine — agirebbe come un contrappeso naturale alla politica daziaria di Donald Trump. In altre parole, Bruxelles potrebbe giocare una contromossa sulla guerra commerciale americana, rendendo più competitive le esportazioni europee e meno dolorosi i dazi imposti da Washington. Un euro più debole, infatti, sarebbe un boomerang per la retorica trumpiana del "Make America Great Again", soprattutto negli swing states industriali.

Il precedente che fa tremare il sistema

Naturalmente, un sequestro definitivo di asset sovrani creerebbe un precedente dirompente. Se l’Europa può confiscare i fondi russi oggi, domani potrebbe fare lo stesso con quelli di qualsiasi paese non perfettamente allineato agli “standard democratici occidentali”. Questo è il vero timore che serpeggia nei ministeri delle finanze di mezzo mondo: la perdita di fiducia nello status dell’euro come valuta di riserva globale.

Tuttavia, l’impatto diretto sul sistema finanziario sarebbe, per ora, contenibile. I paesi africani non democratici potrebbero ritirare una quota delle loro riserve in euro — si stima tra i 25 e i 35 miliardi in due anni — ma si tratterebbe di un'erosione progressiva, non di un collasso. Cina e paesi del Golfo, i veri detentori di riserve estere colossali, resterebbero alla finestra, valutando costi e benefici di un eventuale disimpegno. Finché loro non si muovono, l’euro regge.

Una provocazione o una strategia?

Siamo di fronte a una provocazione politica o all'abbozzo di una nuova dottrina strategica europea? La risposta, forse, è entrambe. Il sequestro dei fondi russi diventerebbe un atto di rottura, certo, ma anche un gesto di autodeterminazione: l’Europa che smette di chiedere l’autorizzazione a Washington e inizia a costruire una propria postura geopolitica.

L’idea è audace, rischiosa, ma non priva di razionalità. In fondo, se Bruxelles crede davvero nella propria capacità di agire da potenza autonoma, la strada non può che passare anche da scelte scomode. Compresa quella di riscrivere le regole del gioco finanziario internazionale.

Il mondo guarderebbe con sgomento. Ma anche con rispetto.


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