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lunedì 29 settembre 2025

Trump, criptovalute e il nuovo statalismo americano: perché anche chi le odiava ora deve capire cosa sta succedendo

Questo articolo è per chi ha sempre considerato le criptovalute un fenomeno marginale, se non pericoloso.

Se ti sei detto più volte “non mi fido”, sappi che non sei solo. Ma oggi, ignorare le cripto non è più prudenza: è cecità strategica.

Con la nuova presidenza Trump, queste tecnologie sono diventate strumenti funzionali a un progetto politico più grande, che mira a ribaltare il sistema economico statunitense. E tutti gli investitori – anche quelli più tradizionalisti – devono prenderne atto.

Trump non vuole salvare il dollaro. Vuole superarlo.

In molti si sbagliano pensando che Trump stia usando le criptovalute per proteggere il dollaro. In realtà, la sua visione è opposta: indebolire il dollaro, anche come istituzione globale, fa parte del disegno per restituire controllo all’economia interna.

La sua strategia si basa su tre leve:

  1. Svalutare il dollaro per rilanciare la manifattura USA,

  2. Indebolire la finanza globalista e manageriale,

  3. Rendere l’economia più controllabile politicamente, meno dipendente dai mercati.

La svolta MAGA: fine del capitalismo manageriale

Come ha spiegato recentemente Adrian Wooldridge su Bloomberg, la dottrina economica del movimento Make America Great Again (MAGA) non è più liberista. È un populismo statalista, che punta a smantellare l’egemonia delle grandi corporation americane.

Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation (think tank conservatore molto vicino a Trump), parla apertamente di un ritorno al modello padronale

  • meno manager professionisti e più proprietari direttamente al comando,

  • meno finanza astratta, più economia reale,

  • meno globalizzazione, più protezionismo,

  • meno BlackRock, più imprese familiari.

È un progetto che punta a riscrivere le regole del capitalismo americano, non solo a riformarle.

E qui entrano in gioco le criptovalute

Le cripto, in questo quadro, non sono il fine. Sono il mezzo.

Trump non è “appassionato di blockchain”. Ma ha capito che le criptovalute possono:

  • creare un sistema monetario parallelo, potenzialmente scollegato dal dollaro istituzionale e dalla Federal Reserve,

  • svincolare l’economia interna da banche centrali, mercati finanziari e standard globali,

  • favorire l’ascesa di nuovi attori economici legati politicamente all’amministrazione (e alla sua visione di “America First”).

Non è un caso se Trump ha spinto direttamente i suoi figli a entrare nel settore cripto — come imprenditori, non solo come investitori.

Criptovalute “di famiglia”

Il sostegno delle figure cripto a Trump non è il punto di partenza. È l’effetto.

Il punto di partenza è questo: Trump crede che le cripto siano funzionali alla sua visione politica, e ha costruito intorno ad esse un sistema di potere.

  • Eric e Donald Trump Jr. sono attivamente coinvolti in American Bitcoin, società di mining e accumulo strategico di BTC.

  • Partecipano anche alla World Liberty Financial, promotrice di una stablecoin (USD1) e del token $WLFI, pensato come moneta “patriottica” digitale.

  • La cripto-economia “pro-Trump” si sta strutturando come un’infrastruttura parallela, con capitali, reti e alleanze proprie.

La “Strategic Bitcoin Reserve” non è marketing. È sovranismo digitale.

L’ordine esecutivo di marzo 2025 che istituisce la Strategic Bitcoin Reserve e il Digital Asset Stockpile federale non è folklore. È la formalizzazione di una scelta ideologica:

  • usare i Bitcoin sequestrati dallo Stato come riserva strategica (senza venderli),

  • costruire una “cassaforte” di monete digitali che non rispondono a logiche centralizzate,

  • ridurre la dipendenza dalla moneta fiat e aprire la strada a un pluralismo monetario gestito politicamente.

Non è solo economia. È potere, struttura, controllo.

E per l’investitore prudente?

Anche se non vuoi “comprare Bitcoin”, non puoi più ignorare la sua funzione politica.

  • Il valore del dollaro verrà gestito politicamente, non solo tecnicamente.

  • Le criptovalute diventeranno veicoli per il potere, non solo per la speculazione.

  • Ignorarle può significare non capire dove si sta spostando il baricentro dell’economia americana.

Cosa fare adesso?

In un secondo articolo (in uscita la settimana entrante), entrerò nel pratico:

  • Come costruire un’esposizione cripto prudente e strutturata,

  • Quali ETF / ETC regolamentati esistono e come funzionano,

  • Come integrarle in un portafoglio equilibrato.

Ma prima ancora, era importante capire perché tutto questo sta succedendo.

In conclusione

Trump non crede nelle cripto come fine.
Ci crede come mezzo per cambiare l’ordine economico americano.

E questo, oggi, nostro malgrado riguarda anche noi.


venerdì 26 settembre 2025

Ha ancora senso fare un PAC oggi? E se sì, su cosa?

Per chi ha la disponibilità, la risposta è semplice: no, il PAC non serve.

Ma allora perché se ne parla così tanto, e perché continua ad attirare l’attenzione di risparmiatori e investitori, anche evoluti? E soprattutto: esiste un contesto in cui invece ha davvero senso farlo?

Negli ultimi anni, il PAC è stato proposto come la soluzione ideale per chi vuole investire in modo graduale, riducendo il rischio e senza dover "indovinare" il momento giusto di ingresso nei mercati.

Ma il PAC non sempre è la scelta più efficace. Anzi, in molti casi rappresenta una perdita di tempo e rendimento potenziale.

Il PAC ha senso solo se non hai tutto il capitale disponibile

Chi ha già un capitale disponibile — ad esempio 200.000 euro pronti da investire — può costruire un portafoglio diversificato da subito. Rimandare l’investimento con un PAC può significare perdere mesi o anni di potenziale rendimento.

Inoltre, la logica del “diluire il rischio” ha senso solo se il rischio è davvero molto elevato e l’investitore ha un orizzonte incerto. Ma chi ha un buon livello di educazione finanziaria (o un consulente adeguato) sa bene che il rischio non si elimina spalmando l’ingresso: si gestisce costruendo un portafoglio equilibrato, ben diversificato, e coerente con i propri obiettivi.

Il PAC può avere senso su trend strutturali in fase iniziale

ll PAC può avere senso se lo utilizzi per accumulare esposizione su temi emergenti o su settori che oggi sono in fase di costruzione, ma che hanno prospettive di lungo periodo interessanti.

Un esempio concreto? La digitalizzazione dei pagamenti in Europa attraverso la creazione di una stablecoin regolamentata.

Una notizia recente conferma questo scenario: nove banche europee, tra cui UniCredit e Banca Sella, hanno annunciato il lancio di una stablecoin denominata in euro, perfettamente conforme alla nuova normativa MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation) dell’Unione Europea. L’obiettivo? Costruire uno standard europeo per i pagamenti digitali, all’interno di un perimetro regolato, sicuro e tracciabile.

Questo rappresenta un cambio di paradigma: per la prima volta, la finanza digitale e la finanza tradizionale convergono in un’iniziativa concreta, con potenziale di impatto su banche, infrastrutture di pagamento, società tecnologiche e fornitori di servizi finanziari.

Un PAC su questo tema? Meglio che su un indice generico

In questo contesto, chi non ha tutto il capitale pronto, o chi desidera costruire una posizione in modo progressivo, potrebbe valutare un PAC su strumenti tematici che offrono esposizione a questa trasformazione.

Non stiamo parlando solo di criptovalute speculative, ma di aziende quotate e regolamentate che:

  • sviluppano infrastrutture per i pagamenti digitali in euro,

  • integrano tecnologie blockchain nei sistemi bancari esistenti,

  • forniscono consulenza o servizi per la costruzione della nuova architettura finanziaria europea.

Esistono ETF tematici — ben regolati e a costi contenuti — che permettono di esporsi in modo diversificato a questo ecosistema.

🧭 Se vuoi ricevere la lista degli ETF investibili su questo tema, scrivimi. Ne ho selezionati alcuni che potrebbero costituire la base di un PAC coerente con l’evoluzione strutturale della finanza europea.

Perché il PAC non ha senso "a prescindere"

Il PAC viene spesso presentato come “strategia prudente”, ma in realtà nasconde un alibi comportamentale: posticipare la decisione, distribuire l’incertezza o se preferisci la paura del cliente che il venditore finanziario a differenza del consulente non sa gestire, ma senza affrontare davvero il tema dell’allocazione strategica del capitale.

È un po’ come dire “inizio piano piano, inizia a diventare cliente che ti lego per 5 anni almeno, poi vediamo”. Ma chi ha obiettivi chiari, tempo a disposizione e capitale già liquido, dovrebbe investire in modo consapevole, non “a rate”.

Il PAC ha senso solo quando serve davvero: all’inizio del percorso, o su un trend innovativo e ad alto potenziale che richiede un’esposizione graduale.

Insomma 

Chi ha già tutto il capitale disponibile non ha bisogno di un PAC. Ma chi vuole esporsi a trend innovativi come la digitalizzazione regolata dei pagamenti europei, potrebbe usare un PAC come strumento per entrare in modo progressivo e consapevole.

📩 Se vuoi ricevere una lista ragionata di strumenti (ETF e titoli) coerenti con questo scenario, contattami.

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giovedì 25 settembre 2025

Il rischio di shutdown negli USA può far tremare i mercati globali?

Una crisi politica interna può davvero influenzare gli investimenti a livello globale?

Chi possiede strumenti finanziari in dollari, ha investito in azioni statunitensi o segue con attenzione le dinamiche dei mercati globali dovrebbe prestare attenzione a quanto accade a Washington. Si prospetta un nuovo scontro tra l’amministrazione Trump e i Democratici sul finanziamento del governo federale. Si rischia di provocare uno shutdown prolungato, con impatti non solo sulla macchina pubblica americana, ma anche sui mercati finanziari mondiali.

Vediamo perché questa crisi politica potrebbe diventare una miccia per la volatilità.

Che cos’è uno “shutdown” e perché è importante?

Uno shutdown federale avviene quando il Congresso USA non approva entro la scadenza (di solito il 30 settembre) una legge di bilancio o una misura temporanea che consenta al governo di continuare a funzionare. In mancanza di fondi, le attività non essenziali del governo vengono sospese, e molti dipendenti federali sono messi in congedo senza retribuzione.

I servizi considerati “essenziali” – come la sicurezza nazionale, la previdenza sociale, il controllo del traffico aereo – continuano, ma moltissimi altri (come parchi, musei, pratiche per mutui e sussidi) vengono congelati.

Dal punto di vista dei mercati, uno shutdown prolungato è un segnale di disfunzione politica che può:

  • aumentare la percezione di rischio sugli asset USA,

  • pesare sul dollaro,

  • aumentare i rendimenti dei Treasury (titoli di Stato USA),

  • alimentare la volatilità di breve termine.

Qual è la strategia di Trump?

Nel caso attuale, la tensione è ancora più forte perché l’amministrazione Trump ha scelto una linea dura e innovativa: secondo un promemoria dell’OMB (Office of Management and Budget), si stanno preparando licenziamenti di massa nelle agenzie federali, colpendo in particolare i programmi non obbligatori per legge.

In altre parole: non si tratterebbe solo di una sospensione temporanea, ma di un ridimensionamento strutturale della forza lavoro federale, da usare come leva di pressione politica. Il messaggio è chiaro: o i Democratici approvano una proroga “pulita” del finanziamento (senza richieste politiche aggiuntive), oppure l’amministrazione inizierà a smantellare settori non allineati alle sue priorità.

Come reagiscono i Democratici?

Le contromosse possibili sono diverse e si muovono su tre piani:

  1. Legale: contestazione immediata in tribunale dei licenziamenti arbitrari, considerati una forzatura amministrativa e politica.

  2. Politico-mediatico: mobilitazione dell’opinione pubblica, con focus sugli effetti concreti dello shutdown per i cittadini (prestiti bloccati, servizi sospesi, lavoratori lasciati senza reddito).

  3. Parlamentare: proposta di un “continuing resolution” (CR) alternativo, cioè una proroga temporanea ma che includa almeno alcune richieste (come l’estensione dei sussidi dell’Affordable Care Act).

Perché tutto questo interessa chi investe?

Anche se può sembrare una questione interna americana, uno shutdown federale ha conseguenze globali. Il motivo è semplice: gli Stati Uniti restano la prima economia al mondo, e i Treasury Bond USA sono considerati (chissà ancora per quanto) l’asset “più sicuro” (risk-free). Una crisi politica che blocchi anche solo temporaneamente i pagamenti o alzi il rischio di instabilità può:

  • creare tensione sui mercati obbligazionari;

  • rallentare l’approvazione di pacchetti economici;

  • spingere investitori globali verso asset rifugio alternativi (oro, franco svizzero, yen);

  • generare perdite sui mercati azionari.

Storicamente, gli shutdown non hanno sempre prodotto forti scossoni, ma in un contesto già instabile o incerto – come quello attuale con tassi alti, inflazione sotto osservazione e geopolitica tesa – anche una crisi istituzionale può fare da catalizzatore.

Quali implicazioni pratiche?

Chi gestisce capitali e ha una parte del portafoglio esposta agli Stati Uniti dovrebbe:

  • Monitorare la durata e l’esito dello scontro politico: uno shutdown breve ha effetti contenuti, ma uno prolungato può cambiare gli scenari.

  • Verificare l’esposizione su asset più sensibili: titoli di Stato USA a breve, fondi esposti su servizi pubblici, settori colpiti dallo shutdown.

  • Evitare mosse impulsive: le fasi di incertezza sono spesso seguite da rimbalzi rapidi – meglio pianificare che reagire.

Il duello sul bilancio federale USA non è solo una schermaglia politica: può diventare un evento rilevante anche per i mercati finanziari globali. Lo shutdown, se gestito come arma politica e accompagnato da licenziamenti di massa, cambia la narrazione da “problema amministrativo” a “rischio istituzionale”. E i mercati, si sa, non amano l’instabilità.