Cosa succede se i mercati smettono di premiare la qualità e iniziano a premiare la connessione politica? Il caso Buffett ci aiuta a capire come cambia il rapporto tra istituzioni e investimenti.
Buffett e l’ambiente che lo ha reso leggenda
Per oltre mezzo secolo Warren Buffett è stato il punto di riferimento per milioni di investitori. Il suo stile: sobrio, razionale, fondato su pochi principi solidi. Comperare aziende semplici, ben gestite, con un vantaggio competitivo duraturo e un prezzo inferiore al loro valore intrinseco. Un approccio che ha funzionato per decenni e che ha superato cicli economici, crisi e rivoluzioni tecnologiche.
Ma cosa succede se il contesto che ha reso possibile quella strategia sta cambiando? Se il “campo da gioco” non è più quello stesso terreno stabile, meritocratico e competitivo in cui Buffett ha prosperato?
A offrire una chiave interpretativa utile è la teoria sviluppata da Daron Acemoglu, Simon Johnson e James A. Robinson, recentemente premiati con il Nobel per l’economia. Il loro lavoro, diventato celebre grazie al libro Why Nations Fail, esplora il modo in cui le istituzioni di una nazione – quelle che regolano la vita sociale, politica ed economica – determinano il successo o il fallimento della nazione.
Due modelli di società: inclusive ed estrattive
Secondo questa teoria, esistono due grandi modelli di funzionamento delle società: inclusive ed estrattive.
Nelle società con istituzioni inclusive, il potere è distribuito, le regole sono certe, i diritti di proprietà sono tutelati, la concorrenza è garantita e l’accesso alle opportunità è aperto al merito. In queste condizioni, il progresso nasce dal contributo diffuso dei cittadini: l’innovazione è incentivata, le imprese crescono perché offrono valore, le persone migliorano la propria condizione grazie a talento e iniziativa.
Al contrario, nelle società estrattive, il potere si concentra in mani ristrette. Le élite politico-economiche usano le istituzioni per mantenere il controllo delle risorse, ostacolano la concorrenza e bloccano la mobilità sociale. La crescita, quando c’è, è diseguale e instabile, perché si fonda sulla rendita e sul privilegio, non sull’innovazione diffusa.
Gli Stati Uniti del secondo dopoguerra sono stati a lungo l’emblema di un’economia inclusiva: stato di diritto, trasparenza istituzionale, mobilità sociale, libertà economica. Ed è in questo ambiente che Buffett ha potuto sviluppare la sua filosofia d’investimento, basata su regole stabili e prevedibilità a lungo termine.
Segnali di una deriva verso l’estrattivo
Oggi, però, alcuni osservatori – economisti, analisti di mercato, imprenditori – iniziano a leggere segnali di una possibile transizione verso un modello meno aperto e più “estrattivo”. Tra gli indizi:
Influenza politica sull’economia: aziende che prosperano non per innovazione o efficienza, ma grazie a sussidi, protezioni tariffarie o appalti pubblici.
Concentrazione del potere economico: disuguaglianze crescenti che limitano la competizione e restringono la base di consumo.
Indebolimento delle istituzioni indipendenti: banche centrali, agenzie di controllo e altri organismi tecnici sempre più soggetti a pressioni politiche.
In questo scenario, la “distruzione creativa” – motore dell’innovazione americana – rallenta. E il successo economico rischia di dipendere più dalle relazioni con il potere che dalla qualità dei prodotti o dalla visione strategica.
Il modello Buffett in un mondo instabile
Il metodo Buffett si basa su una premessa chiave: che le regole siano stabili e che il futuro possa essere stimato con ragionevole sicurezza. Se investo oggi in un’azienda con solide basi, posso aspettarmi che tra 10 anni continui a produrre valore.
Ma in un contesto istituzionale più instabile o più politicizzato:
I vantaggi competitivi non derivano più solo dall’efficienza, ma dalla protezione normativa.
Le valutazioni di mercato sono influenzate da fattori esterni arbitrari.
L’investitore non analizza solo conti economici, ma scenari politici, regolatori e geopolitici.
È un terreno dove l’esperienza accumulata da Buffett – fondata su 70 anni di capitalismo prevedibile – rischia di diventare sempre meno efficace.
Cosa significa per chi investe oggi (anche in Italia)
Questo cambiamento ha implicazioni concrete anche per chi investe dall’Italia, soprattutto con patrimoni importanti. Un investitore oggi deve chiedersi: sto scegliendo aziende premiate dal mercato, o aziende protette dal potere?
Quattro riflessioni operative:
Diversifica anche per stabilità istituzionale, non solo per area geografica.
Analizza il rischio normativo e politico, non solo il rischio di mercato.
Valuta settori più resilienti: acqua, sanità, infrastrutture di base.
Segui il ciclo politico, specialmente nei paesi dove il potere economico è sempre più centralizzato.
Chi vince in un'economia meno inclusiva
Se il capitalismo diventa più estrattivo, anche il profilo del “vincitore” cambia:
Aziende vicine al potere: difesa, sanità convenzionata, grandi opere.
Controllori di risorse scarse: energia, acqua, terre rare.
Prodotti di lusso: quando la disuguaglianza aumenta, il segmento premium regge.
Settori regolamentati: concessioni, licenze, mercati chiusi.
In questo scenario, l’investitore capace non è solo colui che trova valore nascosto, ma chi comprende dove si sposta il baricentro del potere.
Dal valore al potere
L’America che ha sostenuto la crescita di Buffett esiste ancora, ma è sotto pressione. Se le istituzioni diventano meno neutrali e più strumentalizzate, allora il mercato smette di premiare chi crea valore e inizia a favorire chi gestisce – o influenza – il potere.
Il rischio per Buffett, e per chi ne segue l’approccio, non è di aver sbagliato strategia, ma di trovarsi in un mondo che non riconosce più quelle regole. E allora il vero talento, domani, non sarà più leggere un bilancio. Ma leggere il contesto politico.
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